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Ungheria: il virus può minacciare una democrazia?

In questo periodo lungo e particolarmente drammatico si è parlato molto dello stress test dei vari sistemi sanitari nazionali.
Ma non sono stati solo gli apparati sanitari ad essere messi a dura prova dalla pandemia da Covid-19: anche le democrazie hanno subito un duro esame sulla loro capacità di reazione da un punto di vista politico e sociale.

Alcune di queste democrazie, reduci da anni di politiche “illiberali”, hanno certamente visto peggiorare la propria situazione a causa delle restrizioni che sono state prese per contenere al massimo la diffusione dell’epidemia. Una di queste è certamente l’Ungheria.

Il 30 marzo l’Országgyűlés (il parlamento ungherese), controllato dal partito del premier Viktor Orbán FIDESZ, ha approvato la  ‘Legge di autorizzazione’ che assicura al Primo Ministro pieni poteri per poter ufficialmente contrastare il Coronavirus.
Il decreto lo autorizza a gestire ogni aspetto della vita in Ungheria, attraverso l’uso illimitato di decreti che  -formalmente – servirebbero per affrontare al meglio la gestione dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19, senza dover passare obbligatoriamente per l’approvazione del Parlamento.
Dopo la visita istituzionale di Orbán a Belgrado, pare essere stata posta una vaga data di fine dell’esercizio dell’estensione dei poteri: l’uomo forte d’Ungheria sembra aver deciso di portare a termine l’efficacia dei poteri emergenziali alla fine di maggio, senza però dare ulteriori chiarimenti in merito.

Eppure, quello che il Paese dell’Europa centro-orientale ha vissuto in questi mesi non è stata sicuramente una pagina da poter richiudere così facilmente.
Durante queste lunghe settimane il governo guidato da Orbán non ha -nel concreto- cambiato di molto gli obiettivi che si era dato nella sua agenda politica ordinaria, ma si è avvalso della delicata situazione per inasprire quelli che erano già i provvedimenti in atto.
Non è di certo una novità né una sorpresa vedere una maggiore riduzione della libertà di stampa, un’ulteriore chiusura delle frontiere con la conseguente criminalizzazione dei migranti e lo stato di crisi dovuto all’immigrazione di massa che si protrae ininterrottamente dal 2016, finendo con il rifiuto di concedere la parità dei diritti alle coppie LGBT+ dimenticando che i protagonisti demonizzati sono tutti esseri umani.

Ma se il governo ungherese, impersonificato da Orbán, procede spedito verso quelle che sono sempre state le sue prerogative, lo stesso non sembra essere per l’Unione Europea.

Il dibattito nell’opinione pubblica di diversi Stati membri e la presa di posizione di questi ultimi contro tali misure, vista la palese violazione da parte dell’Ungheria del Trattato sull’Unione Europea (TUE) – in particolar modo dell’articolo 2 che sancisce i valori fondamentali dell’UE, quali il rispetto della dignità umana e dei diritti umani, della libertà e della democrazia – non ha portato comunque alla ragionevole sospensione di parte dei diritti dello Stato stesso, come previsto dall’articolo 7 del TUE.

Come se ciò non bastasse, il primo ministro ha declinato l’invito del presidente del Parlamento Europeo David Sassoli a presentarsi in plenaria giovedì 14 maggio, per discutere delle misure adottate al fine di contrastare l’emergenza Covid-19.
“Oggi la lotta contro l’epidemia consuma tutta la mia energia e la mia forza”: un’affermazione inoppugnabile e, per certi aspetti, corrispondente alla verità.
Orbán è davvero stremato da una lotta nella quale investe ogni risorsa a propria disposizione: quella contro i diritti umani.

A tal proposito basti pensare alla promulgazione di una legge, che risale ai primi giorni del mese di aprile, secondo cui le autorità non potranno più registrare sui documenti di identità il nuovo genere di qualsiasi persona che abbia cambiato sesso, facendola rientrare nei provvedimenti emergenziali per la lotta al Coronavirus.

La morsa si stringe anche intorno ai diritti delle donne, con la mancata ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Secondo l’esecutivo ungherese – per come è stata giustificata questa presa di posizione- il testo favorirebbe l’immigrazione clandestina e la teoria gender, dato che vincolerebbe gli Stati ad accogliere i rifugiati perseguitati per l’orientamento sessuale o per il loro genere, citando inoltre il termine “genere” in riferimento a “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”, con il conseguente effetto di smantellare quei presunti principi cristiani su cui il partito fondato da Orbán, FIDESZ, ha impostato tutta la propria propaganda sin dagli inizi.

Anche sul lato della libertà d’informazione le cose non sembrano proseguire per il meglio.
In una videoconferenza con giornalisti stranieri, la scorsa settimana, il Ministro della giustizia ungherese, Judit Varga, aveva dichiarato che le nuove disposizioni penali erano “adeguate e necessarie per combattere campagne di fake news maligne”. Nel corso delle ultime settimane c’era stata una serie di accuse da parte di commentatori allineati al governo che chiedevano di punire duramente i giornalisti “allarmisti”:
Márton Békés, redattore di una rivista filogovernativa, ha dichiarato nel corso di una trasmissione sul canale HirTV che l’Ungheria era in una “situazione di guerra” e che alcuni organi di informazione dell’opposizione “stavano facendo apertamente il tifo per il virus”.

La maggior parte degli operatori dell’informazione indipendenti in Ungheria, pur non credendo che la legge possa portare a incarcerazioni di massa come in Turchia, ha tuttavia dichiarato di essere profondamente preoccupata. Un giornalista magiaro ha dichiarato al quotidiano inglese The Guardian di non essere stato in grado di seguire un’inchiesta sui casi di Coronavirus in una scuola perché tutti avevano paura di parlare, anche se in forma anonima.
“La gente aveva paura di essere avvicinata dai giornalisti, perché temevano di perdere il lavoro. Non solo medici e infermieri, ma anche presidi e genitori della scuola” ha detto chiedendo lui stesso l’anonimato.

Tutte queste decisioni destano preoccupazione, non solo tra i membri della società civile che vengono colpiti direttamente, ma anche tra coloro che devono garantire la piena funzionalità dello Stato di diritto.
Tra questi, diverse ONG – in particolare Amnesty International – hanno espresso non pochi dubbi sulla legittimità delle decisioni per contrastare la pandemia.
“Abbiamo bisogno di forti garanzie in grado di assicurare che ogni misura limitativa dei diritti adottata sulla base dello stato d’emergenza sarà strettamente necessaria e proporzionale per proteggere la salute pubblica. Questa nuova legge conferisce al governo il potere illimitato di andare avanti a forza di decreti in nome della pandemia» ha dichiarato Dávid Vig, direttore di Amnesty International Ungheria, aggiungendo inoltre che “durante i suoi anni come primo ministro, Orbán ha presieduto a un arretramento dei diritti umani, ha aizzato l’ostilità nei confronti di gruppi marginalizzati e ha cercato di ridurre al silenzio le voci critiche. Autorizzarlo a governare per decreto significherà con ogni probabilità proseguire lungo quella strada”.

Non c’è più molto tempo per ulteriori valutazioni.
È tempo di agire, soprattutto perché non può esserci un’Europa dei diritti e un’Europa che, invece, li nega viaggiando in senso contrario.

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