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Ultimo weekend del corso Impact Calabria 2023

Di Martina De Vuono

, Antonio Pantusa

Venerdì 28 e Sabato 29 marzo 2023 si è tenuto, presso la Scuola Superiore di Scienze delle amministrazioni pubbliche (SSSAP) dell’Università della Calabria, l’ultimo weekend del corso Impact Calabria 2023, realizzato dalla Scuola di Politiche in collaborazione con l’Università della Calabria – Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali e con la SVIMEZ.

Il titolo dell’ultima serie di incontri è stato “Disuguaglianze, Inclusione, Innovazione” analizzando proprio le disuguaglianze e la qualità della democrazia, la povertà globale e locale alla luce del paradigma dell’ecologia integrale ma anche la disparità di genere perpetuata dal PNRR in Italia, il modello di inclusione Riace e il reddito di cittadinanza.

Diseguaglianze multimensionali e democrazia

Con la professoressa Rosanna Nisticò e il professore Francesco Raniolo abbiamo parlato delle disuguaglianze multidimensionali e del loro nesso con la qualità della democrazia. La professoressa Nisticò ha evidenziato la persistenza e la cospicua entità dei divari territoriali nel nostro paese: prendendo in esempio il tasso di occupazione nel mezzogiorno dove vive 1/3 della popolazione nazionale ma si produce solo 1/5 del prodotto interno lordo nazionale, qui vive la metà dei disoccupati nazionali. Il tasso di occupazione interno presenta da Nord a Sud una distanza impressionante ed anche, le condizioni di lavoro femminile e il tasso di disoccupazione giovanile. Studi, questi, svolti dalla professoressa insieme al professore Cersosimo nel libro “Diritto di cittadinanza, geografia variabile” che mette in evidenza come i diritti di cittadinanza abbiano qualità e quantità variabile, fruibili dalla popolazione in maniera differente a seconda del territorio in cui ci si trova a vivere.

Tra i punti di osservazione hanno preso l’istruzione in quanto incide su molti aspetti dello sviluppo economico e sociale. L’Italia presenta una quota più alta di giovani senza diploma e una percentuale più bassa di laureati rispetto alla media UE e, oltre a ciò, un preoccupante divario interno. Tale divario è aggravato anche da una mancata convergenza nella formazione terziaria, dalle politiche restrittive (2008-2018) e selettive di finanziamento universitario (che ha aumentato il divario per la qualità della ricerca e della didattica tra le Università italiane), dal calo demografico e la diminuzione del numero di giovani in età di immatricolazione (soprattutto nel Mezzogiorno) nonché della scelta degli stessi di studiare in un’università più a Nord. Tutto ciò è legato ad altri fattori di spopolamento.

Altri dati sottolineano la scarsità di beni pubblici e della qualità istituzionale, la povertà educativa (fin dai primi anni di vita nel meridione) e il divario per la spesa pro-capite (la spesa per la prima infanzia è maggiore a Trento diciassette volte della Calabria). Cittadini della stessa nazione che in due luoghi diversi hanno la possibilità di ricevere sollecitazioni e stimoli enormemente diversi. Ulteriori dati emergono nell’ambito sanitario e descrivono la lacerazione di tale settore come ulteriore fattore di migrazione e spopolamento graduale.

Il professore Raniolo ha evidenziato più marcatamente come la disuguaglianza, definita come processo sociale di accesso differenziato, asimmetrico alle ricompense sociali, costituisca un fattore di deterioramento della qualità delle democrazie.

Crisi economica e democrazia

Presentando alla platea il nuovo libro scritto a quattro mani con il professor Leonardo Morlino “Come la crisi economica cambia la democrazia. Tra insoddisfazione e protesta” ha posto in rilievo come questo tema, dopo la crisi del 2008, sembrava fosse diventato rilevante per la politica e per la ricerca politologica.

Durante la lezione è emerso come le crisi esogene impattano non soltanto sulle nostre vite e sulle nostre chance di vita (possibilità esistenziali) ma anche come impattano sulle nostre istituzioni e se queste siano più o meno vulnerabili rispetto alle crisi esogene.

In virtù dello studio effettuato nel 2016 condotto da Hans Peter Kriesi con conclusioni del professore Leonardo Morlino, che prendeva in esame 16 paesi euroasiatici non appartenenti all’Unione Europea con problemi democratici (quali Ucraina, Russia, Bielorussia), emergeva che i cittadini chiedevano tre modelli di democrazie: al Sud, la democrazia solidaristica: più uguaglianza; al Nord, democrazia come libertà; come tema secondario emergeva la richiesta di una democrazia più partecipata.

Di conseguenza la volontà degli autori è stata guardare alle istituzioni, alle politiche, ai partiti e ai governi e quindi chiedersi cos’è stato fatto negli ultimi vent’anni dalla sinistra al governo sul tema dell’uguaglianza, cosa hanno fatto i partiti di protesta e neopopulisti, qual è il ruolo dei movimenti sociali nell’influenzare l’agenda. Si è cercato di dare enfasi alla capacità di azione della politica, alla capacità di vincoli e coalizioni ma come questo sia condizionato dagli assetti istituzionali.

Dimostrando e tenendo in evidenza la strettissima correlazione tra i tipi di capitalismi e i modelli di democrazia, posto poi che gli assetti istituzionali condizionano, vincolano, influenzano (ma non le determinano) le politiche pubbliche, queste possono essere ostacolate sia da variabile interne (come il debito pubblico, la qualità dello stato di diritto -corruzione, criminalità organizzata-) sia da variabili esterne come le trasformazioni del capitalismo verso una tendenza ultra-liberalista, la globalizzazione, la polarizzazione della società; alla domanda “Che margini di azioni ha la politica?” gli autori rispondono che tutto questo produce conseguenze che si scaricano direttamente sulla popolazione, sulla possibilità di vita, sulla libertà e sull’uguaglianza.

Vi sono, poi alcune democrazie europee dell’est che tendono a ridurre gli spazi di libertà soprattutto a Ungheria e Polonia, altre in cui la gente ritorna a protestare come ad esempio la Francia.

In conclusione, si è affermano che, laddove prevalgono movimenti di protesta e populismi rivendicativi allora si hanno, nonostante gli eccessi di contrasto tra aspettative e responsi, dei margini di miglioramento della democrazia: la protesta sembra un elemento di rafforzamento della democrazia. L’addove prevalgono forme di democrazia illiberale prevalgono forme di allontanamento dalla democrazia.

Le democrazie di protesta hanno più opportunità di affrontare il tema della disuguaglianza, per le democrazie illiberali le disuguaglianze sono temi secondari.

Povertà globale ed ecologia integrale

Il professore Giorgio Marcello ha presentato una relazione dal titolo “La povertà globale e locale alla luce del paradigma dell’ecologia integrale”. Partendo dalle analisi dell’ antropologo e filosofo Bruno Latour e dall’osservazione del rapporto Oxfam 2023, si è osservato come sia possibile individuare un nesso che lega la crisi economica, ambientale, migratoria, la guerra e l’aumento delle disuguaglianze. Tale nesso è stato inquadrato alla luce della “teoria dell’ecologia integrale”, riemersa in termini recenti nell’enciclica “lardato sii”di Papa Francesco, che assume l’ecologia e rielaborazione delle relazioni tra ambienti e forme di vita terrestri come epicentro discorsivo per il superamento del dualismo natura-cultura, paradigma analitico che tradizionalmente caratterizza i saperi e le conoscenze dell’Occidente liberale e capitalista. Oggetto di analisi e discussione è stato anche l’attuale assetto delle disuguaglianze su scala globale e locale. Leggendo il rapporto Oxfam 2023, è stato evidenziato come negli ultimi 10 anni i miliardari abbiano moltiplicato esponenzialmente la propria ricchezza in termini reali rispetto al 50% della popolazione più povera: l’1% della popolazione più ricca possiede la maggior parte delle risorse economiche e finanziarie del pianeta. Questo quadro si inserisce nella più ampia cornice della crisi del modello di accumulazione capitalista, la cui affermazione su scala globale ha comportato tra l’altro, dalla fine degli anni ‘70 un proliferare di politiche sottrattive di welfare e l’affermazione del dominio predatorio delle grandi lobbies estrattive multinazionale sulle forme di vita e sugli ecosistemi in tutto il pianeta terra. Una crisi sistemica, dunque, che va inquadrata a partire da una radicale messa in discussione delle logiche con cui concepiamo, elaboriamo e definiamo il nostro abitare il pianeta terra e le nostre relazioni, ripensando le categorie del politico e delle politiche, tenendo conto di come tutto è collegato ed interconnesso poiché, come ci suggerisce Latour: “Le bussole dei moderni hanno smesso di funzionare”.

PNRR e gender equality

Dopo la pausa pranzo, la professoressa Giovanna Vingelli ci ha dimostrato come il PNRR sia un’occasione persa per la parità di genere in Italia. Con il PNRR, l’Italia punta a guadagnare 5 punti nel Gender Equality Index elaborato dall’European Institute for Gender Equality (passando da 63,5 a 68,5).

La CE dagli anni 70 con le prime direttive iniziava a disegnate piani e strategie per creare pari opportunità e gender equality; l’ultima nel 2020 con durata quinquennale, che riporta tra gli obbiettivi principali: fine della violenza di genere, combattere gli stereotipi sessisti, colmare il divario di genere nel mercato del lavoro, raggiungere la parità nella partecipazione ai diversi settori economici, affrontare il divario retributivo e pensionistico e colmare il divario e conseguire l’equilibrio di genere nel processo decisionale e nella politica.

Per quanto riguarda il divario nel mercato, situazione che diventa ancora più marcata dopo la maternità, l’assenza di una indipendenza economica espone le donne a un rischio di povertà maggiore. Il Consiglio europeo ha esplicitamente raccomandato nel 2019 di sostenere la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, anche attraverso il miglioramento dei servizi di assistenza all’infanzia, investimenti per il miglioramento delle competenze. Ha

previsto incentivi all’imprenditoria femminile migliorando e ampliando i servizi di assistenza all’infanzia e il sistema nazionale di certificazione della parità di genere per le imprese; il miglioramento e l’aggiornamento dei percorsi di studio per l’acquisizione di competenze digitali, scientifiche, tecnologiche e linguistiche per donne e l’assunzione di ricercatrici.

Inoltre, con specifica disposizione nazionale di accompagnamento del piano è stato anche introdotto un vincolo di ricorso al gender procurement per gli appalti PNRR. Però invece che essere presente a livello trasversale – come richiede una strategia che punti sull’occupazione delle donne per la crescita – la dimensione di genere rimane sostanzialmente circoscritta all’interno della missione 4. Inclusione e coesione. Allo stesso tempo, mancando missioni e misure specificatamente dedicate è complesso analizzarne in modo realistico gli effetti.

L’Italia in merito ai target previsti dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 però è ancora in alto mare: solo in tema reddito (nel settore privato e per i laureati) sta provvedendo a ridurre il gender pay gap e con la possibilità di richiedere il congedo di paternità, sta aumentando pian piano la percentuale di padre che ne usufruiscono.

Nell’ambito del PNRR la parità di genere è considerata “strategica” sull’uso delle ingenti risorse in arrivo per il piano Next Generation EU ma la cattiva notizia è che, pomposamente enunciata nelle prime pagine, questa strategia si inabissa nelle successive 120, per ridursi a una delle componenti delle sei missioni con le quali il piano si dovrà attuare: nello specifico, nella missione numero 5, “parità di genere, coesione sociale e territoriale”.

Le misure adottate a favore delle donne dedicano in media il 4 % delle risorse a quelle rivolte a loro e alla riduzione dei divari di genere; i paesi con generale difficoltà per le donne, concentrano i loro sforzi verso misure finalizzate a favorire l’uguaglianza di genere e i paesi con divari di genere più contenuti concentrano l’attenzione sull’implementazione di politiche per il mercato del lavoro. L’occupazione femminile resta sotto traccia e non viene esplicitato un target occupazionale specifico per le donne. Per un approccio più completo al tema del bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro, gli asili nido (considerati nel PNRR un intervento a impatto diretto) non offrono un servizio per 365 giorni all’anno e in una fascia oraria sufficiente a coprire le esigenze di genitori che lavorano. È dunque necessario considerare anche l’offerta dei servizi accessori e integrativi a quelli educativi per l’infanzia e dei servizi dedicati alle persone con disabilità e alle persone anziane.

Anche considerando l’attuale struttura demografica della popolazione residente in Italia nel suo complesso, e il trend in atto di ulteriore invecchiamento e fragilità collegate all’età e alle disabilità, interventi non solo sui servizi dedicati all’infanzia ma anche sui servizi e sull’uso del tempo (spesso del tempo delle donne in età lavorativa) dedicato alla cura di persone con disabilità e persone anziane sembra determinante anche in connessione con la pianificazione di misure che possano “liberare” il tempo delle donne e, indirettamente, portare ad un aumento dell’occupazione femminile.

Anche in merito alla segregazione di genere nei percorsi formativi e professionali, la concentrazione di donne e uomini è diversa nei campi di studio e nelle successive carriere, compreso l’insegnamento. Le strategie comunitarie per il gender mainstreaming sottolineano a questo proposito l’importanza di correggere l’autoselezione di ragazzi e ragazze delle diverse discipline attraverso l’implementazione di strategie per l’aumento del numero di donne nelle aree STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics) e l’acquisizione di competenze digitali. L’indicatore sulla partecipazione delle donne nelle materie STEM però può alimentare lo stereotipo che le professioni scientifiche, che ottengono un maggior riconoscimento sociale ed economico, sono privilegiate rispetto alle professioni di cura o negli ambiti umanistici.

Bisogna quindi sempre considerare l’impatto degli stereotipi di genere alla radice dei divari uomo-donna nella formazione e nei percorsi professionali e degli indicatori. Individuare indicatori che valorizzino percorsi alternativi alle STEM, valorizzando socialmente anche i lavori di cura o carriere nel mondo dell’educazione, come le/gli insegnanti. La casa è sì un diritto umano, ma anche un percorso verso l’autonomia per le donne e quelle che escono da centri antiviolenza e case rifugio necessitano di supporto all’inserimento nel lavoro, ma anche e soprattutto di una casa. I livelli di discriminazione nei confronti di queste donne sono molto elevati Superare l’identità nucleo-famiglia prevedendo nuove formule abitative (co-housing, ecc). È necessario colmare la mancanza di dati sulla mobilità urbana delle donne, che sono oltretutto le utenti più assidue del trasporto pubblico, soprattutto nelle periferie. Guardare alla mobilità dal punto di vista delle donne porta a comprendere che gli spostamenti urbani hanno una tipicità di genere.

Il potenziamento delle linee di trasporto urbano (previsto dal PNRR) dovrebbe tenere conto di queste tipicità e della percezione della sicurezza delle donne. Marginalizzazione nelle periferie vuol dire anche isolamento dai servizi – a supporto delle famiglie con bambini, ma anche delle persone anziane e sole, in maggioranza donne Dall’intero PNRR sembra emergere l’idea di una donna presa in considerazione per la sua vocazione domestica familiare, per il suo collocarsi professionalmente nell’ambito dei servizi di cura sia come dato di fatto, sia come proiezione futura verso cui tendere per accrescere l’occupazione femminile, con un approccio che tende a riproporre la dicotomia pubblico/privato su cui storicamente si fonda la dissimmetria di genere.

In aggiunta, è da segnalare criticamente pure la scarsa sensibilità verso il pluralismo e l’assenza di una prospettiva intersezionale, posto che considera le donne quasi come una categoria unitaria, sembrando poco consapevole dell’impari collocazione sociale delle donne straniere o di chi manifesti condizioni di fragilità che intrecciano il genere (si pensi alla disabilità, ad esempio).

Cosa resta da fare: Le proposte inserite nel PNRR non possono esaurire tutto il margine del “possibile”, in chiave di contrasto alle diseguaglianze di genere, di certo potendosi prevedere ampi orizzonti di possibile intervento. Sarebbe auspicabile che le linee di sviluppo producano un impatto su ogni politica nazionale, rendendo fondamentale attuare le riforme nell’ottica del gender mainstreaming; si pensi all’impatto che potrebbero avere la trasversalità di politiche gender oriented in ogni azione pubblica, come pure alcune proposte puntuali quali, ad esempio, l’inserimento nel piano di reclutamento straordinario della pubblica amministrazione della figura del gender advisor o di un gender local manager in grado di supportare la pubblica amministrazione, centrale e locale, nell’attuare politiche pubbliche gender sensitive. Da ultimo, ma non per ultimo, è auspicabile anche orientare i fondi non ancora assegnati convogliandoli su alcuni temi di primario rilievo, asili nido e occupazione femminile, aumentando così le risorse a essi dedicati che attualmente paiono decisamente insufficienti a quella ripresa e quella resilienza che al Piano danno il nome.

Solidarietà, accoglienza e giustizia: il caso Riace

Nel pomeriggio, ci siamo spostati a Cosenza, alla sede della CGIL, dove abbiamo partecipato alla presentazione del libro “Processo alla solidarietà. La giustizia e il caso Riace” , discusso con le docenti DISPEeS Mariafrancesca D’Agostino e Donatella Loprieno con Massimo Covello (CGIL) e gli autori Carlo Caprioglio, Giovanna Procacci e Mimmo Rizzuti. Dopo il ricorso in appello di Mimmo Lucano, alla luce del quadro accusatorio e delle pene richieste dalla procura di Reggio Calabria nonché delle cornici politiche in cui questa inchiesta e questa sentenza si collocano, cittadini solidali, giuristi, studiosi di scienze sociali ed umane propongono una riflessione sulla sentenza di condanna del tribunale di Locri. Muovendo da diverse prospettive disciplinari e da testimonianze dirette, gli autori mettono in evidenza che la condanna è basata su tutto fuorché su prove di “inequivoco significato”.

Come si evince dalle argomentazioni addotte dai giudici, tale sentenza appare fondata per lo più su presupposti ideologici, stereotipi e giudizi politici tra i più diffusi nella nostra società: dalla pacchia dell’accoglienza ai tentativi di arricchimento personale (mai dimostrato tangibilmente) in pieno stile Buzzi passando per ipotetici vantaggi ottenuti tramite il modello Riace a beneficio dei suoi promotori a vari livelli. Nulla di tutto ciò è stato dimostrato inequivocabilmente, ma ciò che traspare chiaramente è la spasmodica volontà da parte dell’accusa di voler trovare il marcio nelle intenzioni e nelle azioni, forzando dichiarazioni e intenti, plasmando significati ad arte e costruendo artificiosamente ipotesi delittuose.

In tutti gli interventi è emersa invece la voglia di capire e difendere quella che è stata un’esperienza preziosa per lo slancio sociale, culturale e politico che ha saputo esprimere. Come hanno evidenziato anche le professoresse Donatella Loprieno e Maria Francesca D’Agostino, quello dell’accoglienza è un settore molto complesso nelle forme giuridiche e nelle dinamiche sociali e politiche che lo caratterizzano. Nello specifico, dai loro interventi, è emerso come purtroppo l’arbitrarietà delle definizioni nelle leggi penali e nelle categorie giuridiche sia in grado di surclassare nelle prassi operative anche quei vincoli costituzionali posti a tutela della dignità della persona o atti a scolpire come obiettivi imprescindibili di qualsiasi azione politica e sociale il perseguimento dell’emancipazione sociale e il

superamento degli ostacoli alla piena realizzazione della propria personalità. Mentre l’arbitro delle definizioni normative e politiche, allo stato dell’arte, è concorde nel definire il fenomeno migratorio come problema di ordine pubblico o perenne emergenza con pericolose conseguenze a danno della sicurezza collettiva, ci sono tante realtà sociali che spingono invece per ri-politicizzare l’accoglienza, unendo bisogni e spinte emancipative, mettendo in discussione le stesse categorie con cui inquadriamo i soggetti migranti e cercando di determinare movimenti solidali capaci di promuovere modelli virtuosi di politiche per lo sviluppo dei territori e la costruzione di una società più equa per tutte e tutti e aperta alla contaminazione.

Il lavoro in Italia

Il tema dell’ultima tavola rotonda di Sabato 29 Aprlire, conclude il discorso dell’intero weekand sulle disuguaglianze affrontando il tema del Reddito di Cittadinanza e delle caratteristiche del mercato del lavoro italiano e delle sue specificità. Ospite speciale è stata la professoressa Maria De Paola, ora dirigente d’area centrale per studi e ricerche all’INPS. Nel suo intervento ha dimostrato come il RdC, dalla ricerca effettuata dall’ Istituto Nazionale, abbia avuto solo l’1,8% di riduzione sulla povertà mentre l’incremento di reddito disponibile equivalente è pari +17,3% sul primo decile.

L’introduzione del RdC ha favorito principalmente le fasce più povere della popolazione. L’incremento di reddito riguarda principalmente i tre decili più bassi.

Sulle condizioni di vita dei beneficiari, confrontando i percettori con coloro che hanno fatto domanda ma non hanno avuto responso positivo, I percettori di RdC sono mediamente più inclini rispetto a coloro la cui domanda di RdC è stata respinta a dichiarare un miglioramento nelle relazioni sociali e nel benessere psicologico. Trovati effetti positivi anche sull’allentamento dei vincoli al consumo di beni di prima necessità.

In più sulla fecondità, emerge dai dati come nei due anni considerati (2019-2020) le donne che hanno avuto accesso alla misura hanno una maggiore probabilità di avere un bambino di circa 2 punti percentuali rispetto a quelle che non vi hanno potuto accedere perché presentavano un reddito familiare superiore alla soglia relativa al reddito familiare.

Il professore Filippo Domma ha poi analizzato la complessità di questa politica, utilizzando la “Legge 28 Marzo 2019: conversione in Legge (con modificazioni) del DL n.4 del 28/01/2019”. Osservando come il RdC sia stato descritto come “garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale” . Tuttavia la Riforma ha manifestato da subito alcuni errori di impostazione, dovuti a una confusione sugli obbiettivi, uniti all’inesperienza sul funzionamento. Il Rdc non si è rivelato una misura di reinserimento nel mondo del lavoro, se non altro perché i percettori, nella stragrande maggioranza dei casi di coloro che sono occupabili (esclusi quindi minori, anziani e disabili), non hanno mai lavorato, hanno bassi livelli di istruzione e spesso problemi di salute e di inserimento sociale che li rendono inabili al lavoro o difficilmente collocabili, tanto più da parte di personale inesperto come i navigator, i quali, tra l’altro, sono stati spesso ostacolati dai Centri per l’impiego, che avrebbero dovuto accoglierli e sostenerli. I dati dimostrano che la parte della riforma riguardante le politiche attive sia rimasta appunto sulla carta. La maggiore concentrazione del Rdc al Sud è dovuta a una più bassa occupazione e a una più forte incidenza della povertà.

Con il professore Flavio Ponte e la professoressa Giuliana Commisso si sono approfonditi, rispettivamente, gli aspetti normativi e disciplinari che regolamentano il mercato del lavoro e gli aspetti impattanti del reddito di cittadinanza sul piano sociologico e contestuale, confrontando l’esperienza italiana e quella tedesca nelle analogie e nelle differenze sia rispetto all’impianto normativo sia rispetto all’impatto e al contesto sociale. Il professore Ponte ha accennato a come dagli anni ’70 si sia verificato un mutamento di prospettiva analitica e rivendicativa dal punto di vista sindacale, con la considerazione del salario non più come variabile indipendente, bensi posta in relazione alla produttività del lavoratore e al costo del lavoro sommato agli ulteriori costi di produzione e successivamente si sono discusse le modalità, le tempistiche e soprattutto l’efficacia nel determinare mutamenti sociali delle riforme normative con specifico riferimento al reddito di cittadinanza e alle riforme dei contratti di lavoro che si sono susseguite nel corso degli anni.

La professoressa Giuliana Commisso ha fatto riferimento, invece, a quanto sostenuto nel suo ultimo lavoro scritto insieme a Giordano Sivini proprio sul reddito di cittadinanza. Una volta definita la politica non più come politica di welfare ma di workfare (sussidio in cambio di prestazione lavorativa o impegno in tal senso), a seguito dei riferimenti alle connotazioni strutturali dei nuovi paradigmi produttivi e di governance del capitalismo contemporaneo, si è confrontata la normativa italiana con quella tedesca, osservando come in entrambe le misure sia evidente la tendenza ad individualizzare la responsabilità dell’impegno e del successo lavorativo e come, nel caso della Germania, il buon funzionamento del meccanismo di esclusione dal godimento della prestazione in caso di rifiuto da parte del beneficiario della seconda offerta di lavoro abbia difatti determinato un abbassamento del tenore di vita ed un minore impatto sulla condizione di povertà del beneficiario, spingendolo ad accettare lavori dequalificanti.

 

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