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“Ukraina slava slava slava”

26 febbraio.

È sabato sera, sono a Milano e sono appena tornata dalla manifestazione in Piazza Duomo.

Poche ore fa sono andata a casa di mia madre per prendere il costume tradizionale ucraino. Dai disegni del costume si può capire qual è la regione di appartenenza. Io sono della regione di Chernivtsi.

Il costume è interamente ricamato a mano con le perline. La camicia a fiori, da sola, pesa circa tre chili e mezzo, la gonna bianca ricamata sull’orlo e la seconda gonna di lana, non cucite ma rette interamente da una cintura che si stringe in vita, pesano quasi 2 chili.

Le nostre tradizioni hanno un peso.

Dopo essermi vestita ho incontrato un paio di mie amiche, Elena e Rosalinda, e una connazionale collega di mia madre, e siamo andate insieme alla manifestazione.

È partito tutto da piazza Cairoli. Ci aspettavamo un presidio, o una partecipazione ridotta. All’inizio non c’era nemmeno la polizia. La gente arrivava alla spicciolata. Cresceva. Dopo poco anche piazza Castello era zeppa.

Mi ha commossa vedere tante persone in piazza a protestare contro la guerra. E non solo ucraini, ma anche molti italiani.Quello che all’inizio era un raduno si è presto trasformato in un lungo corteo che si è diretto verso piazza Duomo.

Purtroppo quasi alla testa del corteo, e dopo un’enorme bandiera della pace, c’era un grosso camion, l’unico mezzo con altoparlanti dell’intera manifestazione, che alternava slogan e musica assordante. Dietro a questo, un gruppo di manifestanti  ha detto e fatto cose che nessuno di noi, ucraini e non, scesi in piazza per la pace, sostiene e approva, come imbrattare la sede di Enel.

Quando sono andata a chiedere a una ragazza che stava sul camion, per favore, di mettere almeno una volta il nostro inno nazionale, lei mi ha risposto di no “perché è fascista come quello italiano”. Sono rimasta allibita.

 

Slava slava slava

Per fortuna in piazza c’erano anche molte bandiere di Emergency. E sono arrivati tantissimi miei connazionali, con le bandiere gialle e azzurre: gruppi di ragazzi, famiglie con bambini, e anche alcune anziane signore un po’ spaesate.

Con la mia coroncina di fiori, gialli e azzurri come la bandiera il mio paese, sono felice di aver preso parte a questa manifestazione. E, con questo, di essere stata vicina, seppur da Milano, a tutti i miei parenti, amici e compaesani. Ho scattato diverse foto e le ho spedite subito: voglio che sentano e vedano l’affetto e il sostegno che hanno qui in Italia.

Finalmente abbiamo cantato l’inno nazionale, e tutti eravamo commossi. Finalmente abbiamo gridato con tutto il nostro fiato Ukraina slava slava slava. “Slava” vuol dire gloria.

In manifestazione, tutti chiedono un po’ a tutti “tu di che regione sei?” “come stanno i tuoi? Hanno un posto sicuro?”

I miei cari sono quasi tutti in una regione tranquilla, se così si può definire. E infatti sento di tanti che stanno andando appunto lì, nella regione di Chernivtsi.

Inevitabilmente mi viene da pensare all’ultima volta che ho visto la mia famiglia, e mi commuove sapere che tante persone sono nella mia stessa situazione, lontane dai loro cari. E che tutti ci chiediamo se riusciremo ancora a rivederli, o se l’ultima volta che li abbiamo abbracciati è stata davvero “l’ultima”.

 

I nonni

È il 12 gennaio 2022. Sono le 23 circa in Italia, quindi è mezzanotte passata in Ucraina, e mi chiama mia nonna. Panico. Mi chiama per dirmi che ha la polmonite, che sta male. Decido di prendere il primo volo disponibile e di andarla a trovare. Passo 10 giorni con i miei nonni, che non vedevo da prima della pandemia.

La nonna abita in un paesino molto piccolo, in cui tutti si conoscono, nella regione di Chernivtsi, a 30 minuti circa di auto dal confine con la Romania.
È un’anziana contadina con una piccola fattoria. Ha sempre avuto poco perché è cresciuta in una famiglia con sette altri fratelli e sorelle. Per questo vuole sempre dare tutto: è il suo modo di dimostrare il suo amore.

Il nonno è un anziano che si è malridotto lavorando nei cantieri, e ha costruito tutte le chiese nella città vicina. Per questo tutti mi conoscono come sua nipote.

Poco prima di tornare in Italia, uscendo di casa e guardando la porta di ingresso, ho avuto la sensazione che sarebbe potuta essere l’ultima volta.

Ripensandoci, mi viene da piangere. Se non fosse stato per la salute cagionevole della nonna, l’estate del 2019 sarebbe stata l’ultima volta in cui  ho visto i miei nonni, mio fratello con i suoi figli e i miei cugini.

L’altro ieri, mentre parlavamo a telefono, la nonna mi ha detto che dal capoluogo si sentono i bombardamenti. Il centro del capoluogo è a circa 20 minuti di auto da casa sua.

Quelli dei nonni non sono gli unici messaggi e chiamate che ricevo.

Mi ha scritto Oksana, 45 anni, che si sta nascondendo in cantina con sua figlia di 6 anni e sua madre di quasi 80 anni. Chiede aiuto per tornare in Italia.

Mi ha scritto Tonia, dall’Italia, perché sua figlia si trova non lontano da Kiev, con il figlio 19enne e il marito 45enne. Poiché gli uomini non possono espatriare, Tonia chiede ospitalità a casa dei miei nonni.

Mi scrive tutti i giorni una mia cara amica, vicina di casa di mia nonna, aggiornandomi in tempo reale sui fatti e sulla situazione.

Ho sentito mia cugina, Tatiana, che abita in Italia da quando aveva 8 anni. Anche lei è  andata a trovare nostra nonna, ed è rimasta bloccata lì. Sta cercando di tornare in Italia.

All’inizio di questa settimana non mi sarei mai aspettata che le cosa sarebbero potute deteriorarsi in questo modo.

Faccio ancora molta fatica a crederci. Non vorrei doverci credere.

È vero: c’erano tutti i segnali. C’erano i carri armati schierati. C’è una guerra sul confine che va avanti da otto anni. Ma mai mi saprei aspettata una cosa del genere, io come tutta l’Europa, come tutto il mondo.

Come è possibile giustificare tutto questo assurdo spargimento di sangue? Come se non fosse bastata la pandemia a portarci via i nostri cari.

 

Camerieri e badanti

Succede ieri. Sto scorrendo le notizie, sui giornali e sui social e vedo un video che mi fa imbestialire.

Mentre Enrico Letta dice che in Italia la comunità ucraina è formata da centinaia di migliaia di persone che si sono integrate nel paese, i giornalisti Lucia Annunziata e Antonio Di Bella commentano da studio, e senza accorgersi che il microfono è rimasto aperto, chiosando: “centinaia di cameriere… e badanti” “…e amanti”.

Io mi sento offesa non tanto in quanto ucraina, ma in quanto studentessa universitaria  al quarto anno di Giurisprudenza, che volendo mantenersi da sola ha fatto molti lavori, tra cui la cameriera.

Annunziata assume forse che un lavoro sia meno nobile di un altro, o meno utile?

Senza qualcuno che sistema la casa, e magari si prende cura dei bambini, molte donne italiane non potrebbero fare altri lavori.

Senza le badanti non ci sarebbe qualcuno che si prende cura degli anziani italiani.

Dico “cura” non a caso. Perché per moltissime non è semplicemente “un lavoro”.

In passato mi è capitato più di una volta di andare da nonna viaggiando sui pulmini.

Si viaggia in nove persone, che per tornare dai loro cari restano ammassate per per 24 o 48 ore, in base al traffico e alla dogana.

Restando così stretti, e così a lungo, è normale parlare e fare amicizia. Per la maggior parte le donne che viaggiano sono badanti.

Mi ricordo in particolare, e come se lo sentissi adesso, un dialogo tra due signore che parlavano del loro lavoro e degli anziani come dei “i loro anziani”, con un tono di affetto.

“Da quanto tempo manchi dall’Ucraina?”

“Eh saranno almeno 4 anni, sai, il lavoro.”

“Quanto pensi di fermarti?”

“Non molto, un paio di settimane al massimo. Devo tornare dal mio vecchietto, che senza di me non so come si prenderanno cura di lui. Sono un paio d’anni che è fermo a letto. Lo faccio ridere, passiamo il giorno insieme, gli cucino quello che gli piace e non lo faccio sentire abbandonato.”

 

E domani?

È ancora da scrivere, lo possiamo fare insieme, lo dobbiamo fare insieme. Non abbandonateci.

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