Il trasversale e inarrestabile avanzare della richiesta di benessere, specialmente nei paesi emergenti, e l’impatto, ormai innegabile, delle attività antropiche sugli equilibri ambientali ci costringono a prendere atto dell’impossibilità di una crescita economica perenne. Il paradigma fondamentale dell’attuale modello di sviluppo economico non è compatibile con la sopravvivenza a lungo termine dell’umanità sulla Terra. L’eterno rincorrersi di domanda e offerta, investimenti e ricavi senza alcun limite compone una spirale che ci sta portando rapidamente verso uno scenario di conflitti di cui è difficile prevedere l’esito. In quest’ottica, a nulla serve volgere lo sguardo altrove e far finta di non capire. Non saranno certo i tentativi di correggere la rotta introducendo nuovi obiettivi di crescita ispirati al cosiddetto “Green Deal” che potranno evitarci di affrontare problemi non più rinviabili. Favorire la transizione energetica attraverso interventi economici massicci, tesi a produrre nuova ricchezza più che mossi da una reale attenzione ai temi ambientali, rischia non solo di contribuire marginalmente nella lotta alla distruzione del capitale naturale, ma anche di accelerare processi di contrapposizione che si vanno delineando da tempo in campo geopolitico.
In assenza di una visione di lungo periodo che tenga conto delle effettive possibilità di accesso alle risorse di cui necessitiamo, qualsiasi intervento non potrà che essere fallimentare. Ecco, allora, che prendere coscienza del problema, nei termini in cui esso si pone realmente, e non, invece, per come sarebbe senz’altro più agevole che si presentasse, diventa essenziale per garantirci un futuro. Nei giorni scorsi, il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza le proposte di modifica agli articoli 9 e 41 della Costituzione per introdurre, in modo esplicito, la tutela dell’ambiente e degli animali nella Carta. L’iniziativa, che si pone sulla scia di numerosi interventi di altri paesi europei, ha indubbiamente un valore simbolico enorme. La decisione di accostare il diritto ad un ambiente sano alla promozione del sapere e alla preservazione del patrimonio culturale è quanto mai opportuna e ben inquadra il capitale naturale nell’ambito di quelle ricchezze attraverso le quali l’essere umano sperimenta veramente il suo essere Uomo, ovvero la coscienza di essere nel Mondo, la conoscenza della propria storia e la competenza per trasformare le precedenti in un potenziale di sviluppo integrale della comunità. Anche il riferimento al mondo animale sottolinea una profonda attenzione al rapporto che abbiamo con le altre forme di vita, a partire da quelle che ci sono prossime. È di particolare rilievo, inoltre, che nello stesso articolo coesistano le espressioni “ricerca scientifica” e “tutela dell’ambiente”, dato che, troppo spesso, il fine della salvaguardia della Natura ha costituito un alibi per introdurre o riproporre pratiche antiscientifiche che nulla hanno a che vedere con la difesa degli ecosistemi e della biodiversità. Allo stesso tempo, sono state negate troppo a lungo le conclusioni della comunità scientifica circa i rischi di uno sviluppo economico scarsamente regolato e osteggiate iniziative che avrebbero permesso un effettivo alleggerimento dell’impatto ambientale del business.
Il progresso scientifico-tecnologico è senz’altro la sola via che possa ancora permetterci di confidare in un futuro sostenibile. Se da un lato, dunque, il riconoscimento costituzionale infonde nuova speranza in una presa di coscienza della classe politica, dall’altro si resta sconfortati di fronte alle misure francamente insufficienti, inadeguate e incomplete, sebbene senza precedenti, che si stanno varando, non solo nel nostro Paese. Per lo più, infatti, si sta cercando di limitare il crescente impatto delle attività umane sostituendo il propellente necessario per realizzarle, senza preoccuparsi di cosa ciò implichi, ancora una volta, in termini di costi ambientali, ma anche di equilibri geopolitici. Una transizione senza revisione del modo in cui viviamo, al di sopra delle possibilità del Pianeta di rigenerare le risorse, è destinata solo ad accrescere disuguaglianze e fragilità, non certo a salvarci. Il cambiamento non può essere mosso dal solo obiettivo di realizzare nuovi profitti o metterne al riparo altri. Il cambiamento che ci si profila dinanzi non può avvenire per il bisogno di pochi di mantenere lo status quo, può solo avere luogo per la necessità di tutti di compiere un passo verso quello che è l’unico futuro possibile. Non ci sono alternative. Fu così per la nascita dell’agricoltura e l’allevamento, lo stesso bisogno guidò i nostri antenati ad inventare la scrittura e non fu di certo senza l’opposizione del Potere che si affermò il metodo scientifico. Le grandi transizioni storiche non si fanno con la politica del Gattopardo.
Ecco, dunque, che quelle semplici, essenziali modifiche al testo costituzionale risuonano come un monito in vista delle decisioni impegnative che ci attendono. Di per sé, esse non garantiscono che risolveremo il problema e forse neanche che abbiamo intenzione di porvi veramente rimedio, ma che, almeno, esso affolla l’agenda e pone il nostro rapporto con l’ambiente ai vertici della nostra scala di valori. Il rischio, tuttavia, è che si interpreti, nei fatti, l’inserimento della tutela ambientale nel dettato costituzionale come il superamento di un vulnus di cui, finalmente, ci si è potuti liberare firmando una tregua armata con la coscienza. Uno spazio vuoto suscita scalpore in un mondo di parole. La fiducia di noi giovani è riposta nei valori che la Carta riassume, i quali forgiano le attese nell’avvenire dando senso alla nostra esistenza come cittadini.
Gli eventi che fanno da sfondo alla revisione degli articoli 9 e 41 richiamano alla mente le travagliate vicende che portarono alla stesura della Costituzione Romana del 1849, in particolare dei principi fondamentali 2 e 3. In essi veniva sancita l’uguaglianza di ogni cittadino dinanzi alla Legge senza distinzioni di sorta. Quelle parole impressionano per la loro carica rivoluzionaria ancora oggi, e con maggior forza volgendo il pensiero agli avvenimenti che hanno attraversato gli ultimi due secoli. Eppure, quegli ideali non sono morti, ed i loro frutti sono maturati cento anni dopo ispirando la stesura dell’articolo 3 della Costituzione del 1948. Confidiamo che lo stesso possa avvenire per le nuove aggiunte al dettato costituzionale, nonostante le speranze in una soluzione favorevole della questione ambientale siano state finora disattese e l’artiglieria nemica cannoneggi il nostro Gianicolo.