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Rompere il business model della disinformazione

Basta una rapida rassegna della Storia per convincersi che la disinformazione non è affatto una pratica nata con l’avvento della digitalizzazione. Sebbene si tratti di un fenomeno di lunga data, è negli ultimi anni che la diffusione intenzionale di notizie false è diventata pratica dirompente, traducendosi in motivo di preoccupazione per i governi di tutto il mondo. Internet ha reso possibile l’aumento del flusso di informazioni e, di pari passo, ha dato una spinta alla condivisione di contenuti manipolati. Secondo le indagini di Eurobarometro, il 72% dei cittadini europei che utilizzano Internet ogni giorno si imbatte in notizie false più volte al mese (Eurobarometro, 2020).  Dati, fotografie, pensieri, opinioni, annunci pubblicitari vengono oggi condivisi a una velocità fino a 20 anni fa inimmaginabile e raggiungono una platea di utenti vastissima. Tanto che tra gli studiosi della disinformazione si fa spazio la definizione di Infocalisse, inglesismo che senza mezzi termini cristallizza “l’apocalisse informativa”, tratteggiando un futuro in cui il confine tra il reale e il falso sarà sempre più labile.
Per trovare delle risposte in contrasto al proliferare di notizie false online, occorre innanzitutto comprendere gli interessi che portano a diffonderle e conoscere le strade lungo cui si ramificano. Si parla essenzialmente di disinformazione per interesse economico e di disinformazione politica, dove la prima ha l’intento di guadagnare dalla diffusione di contenuti falsi, mentre la seconda è orchestrata per favorire o svantaggiare un governo, un partito, una personalità, o un sistema di valori. Talvolta anche per polarizzare le opinioni, diffondere paura tra i cittadini e sfiducia nelle istituzioni.

I meccanismi più comuni di amplificazione della disinformazione sui social sono fondamentalmente di due tipi:

  • Profili e Gruppi Fake. I profili e gruppi fake sui social media sono progettati per pubblicare notizie intenzionalmente errate, amplificarne la diffusione e distorcere la percezione di un particolare tema. Gli account fake, invece, possono essere creati e acquistati per agire come followers fittizi, andando a gonfiare artificialmente l’importanza e la popolarità degli account di persone reali.
  • Clickbait e Post sponsorizzati. Il clickbait si avvale di titoli sensazionalisti che, facendo leva sull’aspetto emozionale di chi li legge, invogliano a cliccare sul link, collegato a determinati contenuti. L’obiettivo di questa tecnica è di indurre un numero il più possibile esteso di utenti alla condivisione del contenuto sulle reti social, con lo scopo di aumentare quindi in maniera esponenziale i proventi pubblicitari legati alla pagina condivisa. I post sponsorizzati, invece, sono contenuti pubblicitari a pagamento che, a causa della mancanza di trasparenza e di regolamentazione del loro utilizzo, hanno causato serie preoccupazioni sia agli attori governativi sia ai regolatori. In passato, per esempio, sono stati il cavallo di Troia che ha facilitato interferenze straniere volte a diffondere disinformazione in momenti chiave come la campagna della Brexit e le elezioni americane del 2016.

In questo senso, la disinformazione si maschera dietro un semplice clic, a un link o a una pubblicità, architrave di un complesso business model costruito da malicious actors per generare profitto attraverso la tecnica dell’inganno. Per disincentivare la manipolazione dei fatti, è necessario demonetizzare la diffusione di notizie false e smantellarne il modello d’affari.

Tuttavia, il piano della lotta alla disinformazione online presenta un terreno scivoloso, dove i regolatori cercano un equilibrio tra la necessità di garantire la libertà di espressione – internet è per eccellenza il luogo del libero pensiero – e il dovere di tutelare i cittadini da tattiche di manipolazione dell’opinione pubblica, preservando al tempo stesso la tenuta degli organi democratici. Tutto ciò non può prescindere dal confronto con le piattaforme online, in particolare i Social Media come Facebook e Twitter. Finora, è stata preferita l’auto-regolazione alla co-regolazione, ma vista la scarsa efficacia della prima modalità ci si sta gradualmente orientando verso una forma di controllo più decisa (si veda il Digital Service Act al vaglio dell’Unione Europea).

Per combattere la disinformazione servono anche iniziative di carattere tecnologico. In contrasto all’amplificazione dei contenuti falsi, ad esempio, sarebbe opportuno creare modelli di machine learning più precisi per il rilevamento di bot: una solida cooperazione tra le compagnie che gestiscono i social consentirebbe di raggiungere questo obiettivo. Quanto all’individuazione di campagne di disinformazione, un’iniziativa interessante è il Global Disinformation Index, che sta costruendo un sistema di valutazione reputazionale in tempo reale dell’affidabilità delle fonti di notizie in tutto il mondo. Una piattaforma basata su algoritmi che identificano automaticamente i domini inaffidabili e già segnalati dagli utenti per aver rilanciato notizie false consentirebbe di eradicare il problema più rapidamente.

Proposte di policy principali

  • Rompere il business model

La disinformazione for profit diffonde notizie false, basate su fatti e dati inesistenti e messi in circolazione da fonti non attendibili che dalla loro diffusione ricavano un guadagno, per combatterla è necessario convincere gli Ad Networks a tagliare la fonte di finanziamento, ovvero, la pubblicità display dove si diffonde disinformazione e facilitare la cooperazione con il regolatore per individuare i creatori contenuti, domini e pagine, con l’obiettivo di bloccarli, questo onere si può finanziare imponendo una tassa del 5% sul costo per l’inserzionista negli Ad Networks per finanziare il regolatore  affinché vigili sulla validità dei contenuti dove si mostrano gli annunci.

  • Abolire la pubblicità politica mirata

La disinformazione con un fine politico è creata per manipolare l’opinione pubblica, la principale strategia di diffusione sono gli ads targettizzati per raggiungere le persone più propense a rilanciare questi contenuti per ottenere una diffusione esponenziale, è necessario abolire la pubblicità politica mirata, un messaggio politico non si dovrebbe poter comprare, si dovrebbe diffondere organicamente attraverso il consenso.

Per leggere il testo integrale e la presentazione della proposta cliccare su report e presentazione

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