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Ribellione e responsabilità, tra pandemia, razzismo e crisi della democrazia

Ci sono tre crisi che si stanno alimentando l’un l’altra, creando così un circolo vizioso: la crisi sanitaria, la crisi economica e la crisi del sistema democratico.
Secondo i dati recentemente diffusi da Freedom House, il 2019 è il quattordicesimo anno consecutivo di restrizione dei diritti politici e delle libertà civili in tutto il mondo, dunque sarebbe un grave errore limitarsi ad addossare le responsabilità di tale scenario al nuovo virus.

La pandemia da Covid-19 ha generato -o peggiorato, a seconda dei casi- la crisi economica, ma ha solo accentuato la crisi della democrazia a livello globale rafforzando trend negativi già presenti.
Riprendendo quanto scrivono Levitsky e Ziblatt nel loro libro “How democracies die:
What history reveals about our future” è possibile affermare che le democrazie spesso muoiono lentamente, a causa di scelte politiche che indeboliscono (fino a farle scomparire) le garanzie democratiche e favorendo così l’autoritarismo e tutto ciò che ne deriva.

È innegabile che le tendenze autoritarie riaffiorino con maggior forza nei periodi di crisi.
Non ci deve quindi sorprendere la forte instabilità che caratterizza oggi gli Stati Uniti dovuta soprattutto agli effetti devastanti delle discriminazioni razziali, un cancro che quella che si
autodefinisce come la più grande democrazia occidentale non è ancora riuscita a sconfiggere.
La “crisi razziale” negli Stati Uniti d’America si è aggiunta alle altre crisi, innescando la rivolta contro quel potere politico ed economico che ha fatto “grande” l’America facendo pagare il conto ai più deboli, come troppe volte succede.

Come è tristemente noto, il 25 maggio si è verificato l’ennesimo episodio di quel razzismo che (ancora nel 2020) causa la morte di una persona di colore. L’uccisione di George
Floyd a Minneapolis ha scatenato un’ondata di proteste in America (il c.d. Black Lives Matter, che si è poi diffuso in tutto il pianeta) che il Presidente Trump sta tentando di reprimere con l’uso della forza, emblema di un sistema fatto di complicità, in cui è normale aspettarsi l’impunità nei confronti dei militari e delle forze dell’ordine.

Infatti, quando non si interviene in tempo a interrompere quel sistema scellerato che lega disuguaglianza e crisi della democrazia – che finisce inevitabilmente anche per influenzare il quadro istituzionale e i processi politici a livello nazionale e sovranazionale – si mette a serio rischio la tenuta stessa della democrazia.  In questo modo si mette a serio rischio anche la sussistenza di quei diritti che oggi siamo abituati a dare per scontati.

La perdita di credibilità della politica è anche un effetto della sua crescente distanza dalla società, provocata a sua volta dalla smobilitazione sociale dei partiti.
Ne è prova la crescita dell’astensionismo che ha ormai raggiunto livelli preoccupanti: siamo di fronte al crollo della rappresentanza e quindi della vecchia dimensione politica e rappresentativa del sistema democratico.

La convivenza tra le differenze deve, infatti, essere assicurata dalla democrazia, e quest’ultima entra drammaticamente in crisi nel momento in cui si accettano in maniera passiva le disuguaglianze.
Il concetto di uguaglianza è quindi strettamente legato all’idea della democrazia, ponendosi alle fondamenta sia del pluralismo politico che dell’unità politica. Sembra un ossimoro, ma in realtà l’esistenza di una comunità si realizza nel momento in cui tutti gli appartenenti ad essa si riconoscono in quanto differenti ma soprattutto in quanto uguali.

Ho la paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui”: è il monito di Liliana Segre che con Gramsci condivide la condanna degli indifferenti, di quell’indifferenza che ancora oggi opera pesantemente e dannosamente sulla storia.

Purtroppo, le ultime generazioni non hanno memoria dei regimi autoritari e giudicano solo quelli che percepiscono come difetti e limiti della democrazia e per questo spesso, anziché attivarsi per correggere e migliorare quelle che effettivamente sono le fragilità e le criticità dei sistemi democratici, preferiscono fare un passo indietro delegando la soluzione degli innegabili problemi all’uomo forte, nella convinzione che questi sia in grado di invertire la rotta.
Ne sono un esempio Trump in America, Bolsonaro in Brasile, Modi in India, Duterte nelle Filippine, fino ad arrivare al cuore stesso dell’Europa con Orbán in Ungheria ed Erdogan in Turchia.

Questa mancanza di esperienza e di memoria storica, imputabile in parte anche alla peggiore condizione della scuola degli ultimi 20 anni, ha preparato il terreno ideale per la diffusione e il radicamento di populismi, sovranismi ed autoritarismi.Ma se questo è vero, è altrettanto vero che oggi si sta formando una coscienza morale nuova: è il risultato dell’impegno civile di quanti non si sono arresi alla superficialità e all’indifferenza dei più, di tutti quelli che non hanno rinunciato all’azione andando consapevolmente in direzione ostinata e contraria.

Una democrazia vera è qualcosa per cui vale la pena combattere: per questo noi giovani (con il Movimento delle Sardine in Italia ed i Fridays for Future e il Black Lives Matter nel mondo) stiamo contribuendo a scrivere una pagina nuova per la vita democratica, una pagina fondata su una ribellione costruttiva, la ribellione di quanti hanno capito quanto sia urgente e vitale dire NO alla brutalità della politica, alle guerre, alla fame, all’ingiustizia.

Ribellione come esercizio di critica e progetto di libertà, come rimedio contro l’umiliazione e la perdita di dignità, ma anche e soprattutto come responsabilità, partecipazione e difesa della nostra democrazia.

 

di Floriana Giannotti

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