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Rendere attraenti i competenti

Alimentare il dibattito pubblico senza millantare competenze, piuttosto certificandole. La scommessa vincerà la sfida dell’audience.

Come si rendono attraenti i competenti? La domanda potrebbe non essere banale, come anche le possibili risposte. Se è vero come è vero che la competizione dei saperi è sempre più serrata e globale, si fanno via via sempre più necessarie figure che abbiano competenze davvero trasversali, che abbiano sviluppato un certo modo di ragionare e di pensare.

Oppure no? Oppure è forse un comunicatore la persona che cerchiamo? In fondo che ce ne facciamo delle nostre conoscenze se restano solamente nostre?

Si rifletta: se la qualità dell’aria della nostra città peggiora al punto da toccare i più alti livelli di guardia sarà necessario intervenire, magari con un blocco del traffico tramite la circolazione a targhe alterne. È già successo, probabilmente succederà ancora. Come lo si spiega a un cittadino che ha acquistato la sua automobile, che ha pagato bollo e assicurazione, e che dovrà tenerla in garage? Meglio mandare avanti un bravo oratore che non sa nulla di particolato atmosferico piuttosto che un noioso tecnico, giusto? Forse è così, o forse si tratta solamente di un grande equivoco nato dal fatto che “al popolo bisogna parlar facile”. Che poi, il popolo chi? I cittadini chi? È da tempo che in tanti si sforzano di identificare questa massa astratta di persone (sempre altri, mai noi) che probabilmente sono meno sciocchi di quanto li si consideri.

Ma non perdiamoci, eravamo ai competenti. Una volta appurato che è a loro che dobbiamo affidarci (la pandemia dovrebbe averci insegnato qualcosa) la nostra missione dovrà ora essere renderli attraenti. Una missione che spetta anzitutto a chi fa informazione, da un giornale, da una radio, da uno studio televisivo. Ecco, quindi, la domanda che da queste righe scaturisce: ha ancora senso dare spazio a qualsiasi voce in nome della rappresentatività anche quando questa è assai ridotta? Nel Paese delle corporazioni che è l’Italia, alle redazioni fa assai comodo avere sempre qualcuno pronto a intervenire – per quanto piccola sia l’associazione che presiede – per riempire una trasmissione. La risposta, in ogni caso, è no. Ma la tentazione è comunque forte, dal momento che i competenti latitano o non brillano in simpatia.

Il primo passo per renderli appetibili al pubblico è comunque farli parlare, dare loro credito, legittimarli, mostrare al pubblico che sono in grado di rispondere alle nostre domande, anche se quello che diranno potrebbe non piacerci.

Ancora: a tutti piace lo scontro, a molti piace la lite. Ma mettere a confronto i competenti e i rappresentanti di interessi significa metterli sullo stesso piano di risonanza, lasciando passare il messaggio che quanto diranno avrà lo stesso peso.

Ancora: si facciano loro le giuste domande e non li si renda onnipotenti, perché una volta abituati a pensarli in grado di rispondere a tutto sarà difficile superare la delusione dello scoprire che così non è.

Da ultimo, non dipingerli come noiosi, come se una specializzazione o un dottorato fossero cose “da sfigati” che nel mondo reale non ci hanno mai vissuto. D’altra parte, chi ha competenze ha anche la responsabilità di farsene divulgatore – in modo particolare in situazioni eccezionali – perché tutti possano beneficiarne. Anche loro hanno quindi il dovere di imparare a saper parlare, di spiegare ciò che sanno e di non disdegnare un’intervista. Il tutto a patto di non eccedere nell’esposizione, con il rischio di non essere più ascoltato. Farsi apprezzare non significa però doversi mettere in ridicolo né dipingersi come onniscienti: si abbia il coraggio di dire che non a tutto c’è (ancora) risposta, che è spaventoso ma normale non conoscere sempre l’evolversi delle cose e che tornare sui propri passi non è sempre sintomo di incoerenza ma di responsabilità nell’essere andati avanti nella ricerca scientifica. A ciascuno quindi il proprio compito, e alla lunga la scommessa sarà vinta.

Non è bestemmia inseguire l’ascolto che a tanti dà da vivere, ma lo si faccia ricordandosi che proprio da grandi ascolti derivano (speriamo) grandi responsabilità. 

 

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