Dopo sessanta giorni di lockdown iniziano a intravedersi degli spiragli di ritrovata normalità per le strade delle nostre città.
Qualcuno ha avuto tempo per pensare, facendo tornare la mente a poco prima che questo delirio iniziasse. Ma riflettendoci, non serve tornare nemmeno troppo indietro: c’è voluto così poco per cambiare così tanto.
Pur rischiando di cadere nel retorico è desiderio di chi scrive ricordare, ancora una volta, quanto la pandemia da Covid-19 abbia significativamente influenzato le nostre esistenze e la quotidianità di ciascuno di noi.
È stato un cambiamento così radicale da arrivare a distorcere la realtà, o ciò che la rappresenta ai nostri occhi. Realtà, cos’è la realtà? È ciò che sta accadendo, è il Coronavirus, quello sì che è reale.
Ma la nostra realtà la costruiamo in base a ciò che ci viene detto, in base a ciò che leggiamo, ascoltiamo e apprendiamo. Questa massa di impulsi viene elaborata e distribuita da qualcuno prima che da noi, non potrebbe essere altrimenti. Chi ha questo compito, per scelta o per dovere, ha una responsabilità di cui forse non è sempre pienamente cosciente.
Sull’altro fronte c’è il ricevente, il lettore, il telespettatore e il radioascoltatore.
Ci sono coloro che vogliono tenersi sempre aggiornati. “ È fondamentale farlo” forse pensano, “in questa fase più che mai”. E allora scelgono: scelgono un quotidiano, un telegiornale e una stazione radio. L’offerta è ricca, non lo è mai stata così tanto. Lo è a tal punto da essere definita spesso un ‘bombardamento’, talmente è continua e costante.
Questa associazione di idee porta la mente di chi legge a idealizzare l’informazione del terzo millennio come un gigante Golia, minaccioso nei confronti del piccolo Davide che -poveretto- voleva solo tenersi informato.
Se è vero che l’offerta è ampia allora la domanda deve essere mirata, per far sì che lo scambio sia equo ed efficace.
Ma non è così facile.
Chi si mette in cerca di notizie deve sapere come cercarle. Deve poi avere capacità critica, dal momento che la disinformazione dei riceventi (generata, forse, dalla troppa informazione) è da loro stessi determinata. Chi è causa del suo male pianga sé stesso, insomma.
Ogni membro della società deve infatti essere in grado di sapersi informare, per formazione ricevuta o per esperienza propria. Dal momento in cui si sceglie un veicolo di informazione di cui fidarsi, appurata la sua affidabilità nei limiti del possibile, il bombardamento succitato si trasforma in una pistola ad aria compressa.
E in questo modo tutti i dibattiti legati alla facilità con cui si cade nella trappola delle notizie inattendibili diventano nulla. Le chiamano fake news e piace tirarle in causa come il risultato di una cospirazione di leoni da tastiera da parte degli ‘webeti’, come ama chiamarli Enrico Mentana. Una ricostruzione che sicuramente, in parte, corrisponde a verità, ma che d’altra parte nasconde un esercito di figure che, per pigrizia o per ignoranza, hanno fatto del copia e incolla la loro ragione di lavoro.
Dal punto di vista della responsabilità degli autori, l’infodemia da Covid-19 ha lasciato spazio di manovra a tanti soggetti che si sono riscoperti cronisti della pandemia.
In fondo non è poi così difficile. L’informazione non va prodotta, ma trovata e fotocopiata virtualmente.
Basta un tweet, un post o una storia Instagram prima degli altri e si diventa fonti attendibili agli occhi di qualcuno. Ma ai professionisti dell’informazione rimane comunque il gravoso compito di trovare un equilibrio tra dare troppe notizie (esasperando i lettori) o non darne di importanti: il rischio di sbilanciarsi è sempre dietro l’angolo, dietro l’ultima agenzia.
“Non serve a niente stare a guardare giorno per giorno le statistiche per vedere se migliorano o no”, commenta T.P. su Facebook, “avete rotto voi i numeri e questa influenza” scrive invece F.L. I commenti arrivano sotto al post delle diciotto che riporta il bollettino odierno della protezione civile.
Dopo l’annuncio del capo dipartimento Angelo Borrelli sull’interruzione delle conferenze stampa quotidiane un po’ ci eravamo rimasti male.
Ci si abitua a tutto, anche a sentirsi dire che anche oggi centinaia di persone hanno perso la vita.
Eppure sono post e articoli a colpo sicuro.
Misura, ecco la soluzione.
Un’impresa, diranno.
E avrebbero ragione, ma è questo il dovere di chi sceglie di fare questo mestiere, di fare informazione.
A noi il compito di affidarci alle persone giuste.