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Quando la lontananza del fuori sede non è solo geografica

Di Federico Bennardo

Sono ormai diversi gli studi ed i dati che provano come in aggiunta alla popolazione residente in una determinata città esista una quota altamente variabile non univocamente definita. Si tratta perlopiù di individui che vi si recano per motivi di lavoro e di studio. Ora, sebbene una parte di questi compia degli spostamenti brevi, sia in distanza percorsa che in permanenza, e che possiamo definire “pendolare”, fa parte di questa macro categoria anche quella, comunemente definita dei “fuori sede”. Questi, invece, a lunga permanenza.

Le ragioni di ciò sono spesso dettate da cause infrastrutturali ed economiche: è difficile spostarsi quotidianamente da una parte all’altra del Paese, oltre che dispendioso. Il crescente divario economico tra Nord e Sud è stato solo uno dei motivi che ha stressato il fenomeno e gli ultimi dati ISTAT mostrano come nel caso di Roma, per fare un esempio, in aggiunta alla popolazione residente esistano il 28,4% in più di individui “insistenti” (turisti esclusi), molti dei quali studenti. Intendendo per “insistenza” quella condizione di partecipazione e gravitazione su una determinata realtà senza, tuttavia, godere dei diritti correlati alla residenza.

Altrettanto rappresentata è la fascia dei lavoratori. È infatti un trend costante quello del calo demografico a sud a fronte di un centro-nord più popolato sia da parte chi si sposta alla ricerca di un’offerta lavorativa sia di chi vi resta al termine del percorso di studi. Caso eclatante è quello siciliano con 100.000 abitanti in meno in 5 anni e molti piccoli centri urbani in “pericolo estinzione”.

Da questi presupposti ed altri la necessità di riadattare i diritti civili, primo dei quali il diritto di voto, ancora oggi legato alla residenza nelle cui liste elettorali l’elettore risulta iscritto, alla fluidità demografica odierna.

Occorre tuttavia distinguere elezioni generali, quali politiche, referendarie ed europee, da elezioni a carattere locale, quali le amministrative.

Nel primo caso, in cui la valenza del voto dovrebbe prescindere dalle realtà locali, appare paradossale che a differenza dei cittadini italiani residenti all’estero, ai quali è concesso il voto per via postale, i cittadini “fuori sede”, all’interno del territorio nazionale, non sia garantito lo stesso diritto e si vedano costretti a rinunciarvi, a meno che non si rechino al seggio di residenza. Nel secondo, invece, le norme in vigore non tengono conto dell’insistenza, anche se spesso decennale, su una determinata realtà per la partecipazione ad elezioni locali. Condizioni, quindi, diverse sebbene accomunate da un unico comune denominatore: l’astensionismo.

Queste sicuramente le ragioni che hanno portato al disegno di legge, recentemente approdato in commissione affari costituzionali della camera, a prima firma Madia.

Quali implicazioni determinerebbe l’approvazione del disegno di legge?

  • Le principali sarebbero economiche. Il voto dei fuori sede su base telematica sarebbe un importante precedente per per una futura conversione dal cartaceo. Il costo delle elezioni come le conosciamo oggi è particolarmente sostenuto: allestimento dei seggi elettorali, oneri degli scrutinatori e materiale cartaceo sono solo alcuni di questi. Oltre che impegnare 4 Ministeri: Interni, Giustizia, Esteri ed Economia. Il sistema SPID, oggi necessario per l’accesso a molti servizi della pubblica amministrazione sarebbe un buon sostituto. Prova del funzionamento sono le elezioni studentesche della Sapienza per 120.000 studenti tenutesi “eccezionalmente” in modalità online.
  • Consentirebbe soprattutto alle fasce d’età più basse di avvicinarsi alla politica e limitare così il tasso di astensionismo: la certezza del diritto al voto creerebbe, soprattutto in un ambiente come quello universitario, maggiore interesse e motivo di confronto, oltre che partecipazione diretta ed indiretta.
    Esistono, tuttavia, dei punti ancora poco chiari.

Il più significativo è sicuramente il rischio di alterare la rappresentanza, in particolare per alcune elezioni a carattere generale. Nella fattispecie delle politiche il diritto al voto in un luogo diverso dal comune di residenza determinerebbe un cambio di collegio a cui l’elettore risulta iscritto e di conseguenza il mancato consenso per candidati della propria regione di appartenenza. Non meno importante è la possibilità, nell’era informatica, di alterare le votazioni da parte di hacker e creare, anche solamente per il paventato rischio, dei pericolosi precedenti di delegittimazione dei candidati vincitori.

È il caso delle elezioni universitarie di Napoli tenutesi a Maggio che hanno visto denunciare diversi studenti del dipartimento di giurisprudenza violazione delle proprie credenziali. Nonostante ciò a mio modo di vedere i benefici superano di gran lunga i rischi ed una velocizzazione dell’iter parlamentare consentirebbe, oltre che allinearci al gruppo dei Paesi avanti a noi nei diritti civili, e di cui l’Italia merita di far parte, ma altresì a centinaia di migliaia di individui insistenti di prender parte alle prossime scadenze elettorali.

Considerando soprattutto che i fenomeni descritti sono in progressione, quanto è destinato a crescere il tasso di astensionismo? Non verrebbe comunque alterata la rappresentanza se a votare mancasse una fetta sempre maggiore di giovani impossibilitati perché insistenti altrove?


1.“ISTAT: Popolazione insistente per studio e lavoro”
2. “Il Giornale: Fuga dalla Sicilia, l’isola sotto i 5 milioni di abitanti”
3. Camera dei deputati XVIII legislatura – Commissione affari costituzionali: A.C 1714

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