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Proposte per innovare la Medicina Territoriale

La pandemia di Covid-19 ci ha reso più consapevoli della fragilità delle nostre società nei confronti di agenti patogeni come virus e batteri, la cui pericolosità sembravamo aver dimenticato nonostante gli avvertimenti degli esperti. Non solo: oggi comprendiamo molto meglio quanto sia fondamentale avere un sistema sanitario a misura di cittadino, che non sia solo limitato all’alta (ed ultra) specializzazione ospedaliera, ma che, passando per l’intermediazione di professionisti della salute sul territorio, arrivi anche nelle case dei pazienti che lo necessitano. È quindi più che mai necessario investire risorse ed idee per potenziare i servizi territoriali e per integrarli col sistema ospedaliero: troppo spesso si tratta di mondi separati che non comunicano tra di loro. È emblematica in merito l’attuale impostazione della formazione medica, che fornisce quasi esclusivamente il punto di vista degli ospedali universitari, senza garantire agli studenti altrettante nozioni riguardanti il lavoro che svolgono ogni giorno migliaia di guardie mediche, di medici di medicina generale e di specialisti sul territorio. Per altro, oggi ci troviamo nella condizione privilegiata di poter sfruttare le nuove tecnologie per monitorare la salute dei cittadini a distanza (con modalità che si sono rivelate molto utili anche durante la pandemia), e questo amplifica le modalità, oltre che i luoghi, dove è possibile “fare salute”.

Gli sforzi e le innovazioni, piccole e grandi, che abbiamo messo in atto per contrastare il Covid-19 non devono, però, essere fini a se stesse. La realtà pre-pandemia era, infatti, caratterizzata da quella che, già nel 2005, in una serie di articoli il Lancet definiva come una “Neglected epidemic of chronic disease”, a carico soprattutto dei paesi industrializzati: una vera e propria “epidemia” di malattie croniche (malattie cardiovascolari, tumori, malattie respiratorie, diabete, ecc.), il cui tasso di incidenza osservato nella popolazione è di gran lunga superiore a quello atteso, proprio come nei casi delle epidemie da patogeno infettivo. Un’epidemia, però, “neglected”, ovvero trascurata, se si pensa che sono ad essa globalmente riconducibili oltre due terzi dei decessi totali. Ebbene, anche se la nostra attenzione è oggi tutta focalizzata sulla sfida al SARS-CoV-2, bisogna ricordare sempre che quello descritto da Lancet è un film tuttora in corso, pur se in secondo piano.

Migliorare la relazione tra servizi sanitari ospedalieri e territoriali non è, quindi, importante solo per prepararsi a nuovi eventi improvvisi e imprevedibili come una pandemia virale, ma è fondamentale per affrontare le sfide, che in un certo senso potremmo definire quotidiane, delle patologie croniche, che richiedono un approccio multidimensionale (bio-psico-sociale) e che non sono scomparse in questi mesi di emergenza sanitaria.

A dimostrazione di come si tratti di problemi reali che impattano sulla vita di tutti i giorni di praticamente ciascuno di noi, abbiamo deciso di impostare il nostro lavoro partendo da uno scenario clinico tipico. In particolare, per analizzare la situazione di quei pazienti che, per l’età avanzata e la pluri-morbilità, si trovano in una condizione di fragilità e richiedono cure (non solo mediche) complessa, ci siamo immaginati il caso di Anna, una signora di 88 anni, che in seguito ad una caduta a casa si frattura la testa del femore.

Il primo momento critico in questo caso è il ricovero, e quindi il passaggio dal territorio all’ospedale. I medici in pronto soccorso, dove la signora Anna si reca dopo la chiamata al 118, possono trovarsi in difficoltà nel reperire informazioni sulla sua storia clinica e sociale. In pazienti così anziani possono essere infatti presenti più patologie croniche anche difficili da descrivere e per questo motivo sarebbe importante che i medici ospedalieri avessero accesso alle informazioni del medico di medicina generale (MMG). Un sistema informatico integrato o l’inter-comunicabilità tra cartelle cliniche del sistema ospedaliero e del MMG semplificherebbero l’accesso ad importanti dati anamnestici: oggi i sistemi informatici sono distinti, nonostante in alcuni regioni si stia provando a superare questo ostacolo (un esempio è il progetto SOLE dell’Emilia-Romagna). L’accesso a dati di pazienti di regioni diverse, per non parlare di altri stati dell’UE, è invece ancora più limitato.

Al momento del ricovero di alcuni pazienti complessi sarebbe inoltre utile una comunicazione diretta col MMG. Nel caso che abbiamo immaginato, ad esempio, i medici del pronto soccorso chiamano il medico che ha in cura la signora Anna e vengono a sapere che è diabetica e ipertesa, che assume diversi farmaci e che, a parte l’occasionale presenza di un’assistente domestica, vive da sola. In questo modo, non solo i medici ospedalieri sono in grado di inquadrare il caso più chiaramente, ma anche il MMG viene informato della condizione di una sua paziente. Grazie ad un sistema informatico integrato, inoltre, il MMG potrebbe continuare a tenersi informato, durante il ricovero, sulle condizioni della stessa.

Il secondo momento critico è la dimissione della paziente dopo l’intervento chirurgico ed il ricovero in ospedale, quando si concretizza, cioè, il passaggio da ospedale a territorio.

La signora Anna avrà bisogno dell’intervento di un assistente sociale per valutare l’inserimento in una struttura protetta oppure valutare il rischio di future nuove cadute presso la sua abitazione (illuminazione insufficiente, superfici scivolose). Ma avrà bisogno anche di un fisioterapista per la riabilitazione, di un diabetologo per il trattamento della sua malattia, di un oculista per curare la retinopatia causata dal diabete. La dimissione di una paziente così complessa viene definita “protetta” e in questi casi sarebbe utile un coordinamento dei vari professionisti che si occuperanno del caso fuori dall’ospedale. Un modello è quello delle ACOT (Agenzie di Continuità Ospedale-Territorio) della regione Toscana; si tratta di una struttura intermedia che coordina le dimissioni protette. Nelle ACOT toscane, però, quasi mai vengono coinvolti i medici di medicina generale e allora la nostra proposta è di inserirli stabilmente in questo sistema, perché sono coloro che meglio conoscono i pazienti.

Grande importanza abbiamo quindi voluto dare, nel nostro lavoro, ai medici di medicina generale, che sempre di più svolgeranno un ruolo centrale nel nostro servizio sanitario, nonostante siano ancora molto distaccati dal sistema ospedaliero: la loro formazione è separata dalla formazione degli altri specialisti, i locali in cui operano sono spesso privati, non sono dipendenti delle aziende sanitarie ma in convenzione con esse. Anche per questi motivi, le prestazioni dei diversi MMG possono essere molto disomogenee, così come la dotazione ambulatoriale, spesso troppo limitata. Ad esempio, i MMG raramente sono forniti di strumenti di diagnostica di base come ecografi o elettrocardiografi che invece sarebbero fondamentali per migliorare le prestazioni sul territorio evitando ai pazienti di recarsi in ospedale. Certo, non basta migliorare la strumentazione: è necessario che cresca, di pari passo, un sistema che fornisca loro le opportune competenze e possibilità di confronto con gli specialisti.

L’idea che proponiamo nel nostro lavoro è quella di incentivare ulteriormente forme di medicina di gruppo, prevedendo ad esempio affitti calmierati o gratuiti di spazi pubblici da parte delle aziende sanitarie. In questo modo, i professionisti potrebbero condividere i nuovi strumenti, riducendone i costi di gestione. Un valido modello è quello delle Case della Salute, in cui non solo più MMG condividono gli spazi e la strumentazione, ma sono presenti anche altri specialisti e professionisti, in un ambiente stimolante dove è favorita la collaborazione tra professioni diverse.

La medicina territoriale, infine, può vedere espanse enormemente le sue possibilità, nel momento in cui si implementino davvero i vari strumenti che la rete può ormai garantire. La telemedicina garantirebbe, innanzitutto, maggiori possibilità di raggiungere i pazienti, con particolare beneficio per coloro che vivono in zone periferiche o lontane dai principali centri urbani. Allo stesso tempo, dei semplici software e una connessione internet permetterebbero di monitorare alcuni parametri clinici in modo più efficace di come farebbe il solo personale sanitario, spesso oberato di lavoro. A questo si aggiungono, ancora, la possibilità di interazione a distanza fra medico e paziente (televisita), l’indicazione di diagnosi o di scelta di una terapia (teleconsulto), e l’assistenza fornita da un medico o un altro operatore sanitario ad un altro medico o operatore impegnato in un atto sanitario (teleconsulto).

Torniamo allora alla signora Anna dopo la sua dimissione. Proprio grazie alle proposte indicate potrà svolgere la riabilitazione presso il proprio domicilio ed essere seguita in maniera coordinata e con gli strumenti adeguati dal suo medico di medicina generale e dagli altri professionisti sul territorio. Queste cure, che avranno una lunga durata, le permetteranno di evitare l’ospedale a meno di altre problematiche acute emergenti, ma soprattutto si avvicinano a quel modello bio-psico-sociale che prevede una presa in carico del paziente in tutta la sua complessità.

 Per leggere il testo integrale e la presentazione della proposta cliccare su report e sulla presentazione

Di Costanza Forli, Tommaso Giani, Gordon Abeiku Mensah, Siddhartha Pandit, Eugenio Salamone

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