News

Peste, il nemico invisibile

In questo mio breve intervento, vorrei dare un’idea, grazie all’apporto di alcuni colleghi studenti di Storia, di come i medici (e i mercanti) del passato si ponevano di fronte alle frequenti epidemie e alla peste in particolare.

Oggi sappiamo che la peste veniva portata da alcune pulci che succhiavano il sangue dei ratti, cosa di cui abbiamo la prova scientifica solo dal 1989, grazie al lavoro di Paul Luis Simond. Ma in passato la confusione regnava sovrana, persino fra i medici più autorevoli. Tebaldo Loveti Borgognone, il nostro Burioni del Cinquecento, indicava tre cause possibili del “male contagioso”: la prima riguarderebbe il consumo di cibo corrotto; la seconda sarebbe l’aria malsana che circonda i cadaveri (non è del tutto campato per aria, visto che i corpi morti e lasciati a marcire sono il giusto habitat di ratti e pulci); la terza causa sarebbe l’influenza di pianeti “non buoni”, come Saturno e Marte. Sarebbe infatti Marte, una volta raggiunta la sua casa, a far infettare i guerrieri. Una certa confusione si riscontra anche nella diffusione della peste in relazione all’anatomia umana: Tebaldo ci informa che il male non “fa adunanza” lì dove le vene sono dritte e il sangue scorre velocemente.

I ricchi annali delle epidemie ci informano che “mille modi e mille vie offrinvansi al morbo per crescere e dilatarsi”. Non solo peste di diversi tipi, ma anche tifo, vaiolo, morbillo, febbri più o meno gravi. Ed è difficile per gli storici tenere a mente ogni singola influenza, per questo gli annali sono fonti tanto importanti. Una delle ondate di peste più importanti fu quella che colpì l’Italia (e in particolare città del nord, quali Venezia e Brescia) nel 1629-31, sicuramente portata dai soldati di varie nazionalità europee. Ho potuto approfondirla grazie al lavoro di tesi del collega, ex studente di Scienze Storiche a Padova, Damiano Durello. La sua tesi analizza lo strumento delle suppliche. Lettere, scritte da avvocati e notai su commissione dei più svariati individui, in cui si facevano presente al sovrano o al Gran Consiglio (nel caso di Venezia) delle “doleanze”. Spesso si trattava di mercanti che vedevano i loro commerci diminuire a causa dell’epidemia e che, quindi, chiedevano di posticipare o annullare i dazi previsti. Più raramente si possono trovare lamentele di medici, ingiustamente interdetti dall’esercizio della propria professione. Oppure intere corporazioni che chiedono di tornare a lavorare, di “riaprire tutto”, come diremmo oggi.

Nel 1630 non vi era solo la criticità dovuta alla Guerra dei Trent’anni, ma anche particolari condizioni climatiche che generarono carestie. A causa delle temperature, molto sotto la media, possiamo parlare di “piccola era glaciale”. Solo più di due secoli più tardi il batterio che la provocò venne isolato da Alexander Yersin, medico di origini svizzere, il quale mise anche appunto un potente siero antipeste. Dalle nostre conoscenze sul comportamento dei ratti, risulta che essi spesso vivano nelle navi da trasporto, dunque nessuna meraviglia che Venezia, che proprio nel commercio trovava la sua ricchezza più grande, sia spesso colpita. Anche se sembra che la peste del 1630, stranamente, venga da una via terrestre.

Il siero antipeste rappresenta una conquista medica importante, se si pensa a come la peste sia rimasta a lungo nella storia “un nemico invisibile” con cui fare i conti. Durante il medioevo le principali spiegazioni riguardo alla sua origine chiamavano in causa presunte sostanze naturali, fuoriuscite dai cadaveri. Essa rimase, dunque, un mistero fino alla fine dell’Ottocento.

Menu