Quando abbiamo iniziato il nostro lavoro a luglio, in una Zoom call all’ora di cena con i nostri supervisor, il professor Pier Luigi Petrillo e l’avvocato Cecilia Honorati, ci siamo fin da subito imbattuti in un problema essenziale: da dove partire? L’argomento che avevamo scelto – le relazioni istituzionali, ossia le relazioni tra Pubblica Amministrazione e privati – era davvero vasto e ricco di suggestioni. Da quella chiamata di brainstorming con i tutor eravamo usciti con pagine di appunti e spunti di ricerca.
Non è stato facile scegliere un tema da affrontare, c’erano molte opzioni interessanti. Abbiamo cercato un fil rouge che ci permettesse di spaziare tra gli ambiti che più interessavano ciascuno membro del gruppo e, alla fine, abbiamo scelto di occuparci di open government. L’“amministrazione aperta” è un approccio che si concretizza in interventi di stampo diverso e che possono essere ricondotti ai cosiddetti “tre pilastri”: partecipazione, trasparenza e responsabilità. Coinvolgendo i cittadini nell’amministrazione pubblica, è possibile superare l’apparente dicotomia tra amministratori e amministrati. Un sistema amministrativo improntato sull’open government è più efficiente e raccoglie maggiore fiducia tra i propri cittadini, come hanno dimostrato autorevoli osservatori internazionali, in primis l’OCSE. L’efficienza amministrativa e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche sono due temi centrali nella riflessione contemporanea e nel dibattito pubblico del nostro Paese, dunque occuparsi di amministrazione aperta ci è sembrato particolarmente opportuno. Ripensare gli apparati statali e locali in questa chiave potrebbe aiutare questi ultimi a superare le grandi sfide che hanno di fronte.
Ci siamo messi dunque nei panni del legislatore alle prese con il Piano nazionale per l’open government e abbiamo seguito lo schema dei tre pilastri per articolare la nostra proposta. Per la partecipazione, abbiamo iniziato facendo una ricognizione della legislazione vigente e degli strumenti già adottati a livello generale – ad esempio, gli accordi amministrativi – o da alcune amministrazioni, come l’inchiesta pubblica, l’AIR (Analisi di Impatto della Regolazione) e la VIR (Verifica di Impatto Regolatorio). Riformando tali strumenti e inserendoli in un Codice della partecipazione valido per tutte le amministrazioni, si potrebbero mettere a sistema le best practices già collaudate.
Lavorando sul primo pilastro, ci siamo resi conto che tutte le prassi esaminate avevano ricadute anche sul piano della responsabilità: abbiamo dunque messo in collegamento i due pilastri e pensato a come gli strumenti partecipativi potevano divenire anche strumenti di accountability, se inseriti in un ciclo di analisi e valutazione sia ex ante sia ex post. Al fianco degli interventi legislativi, abbiamo proposto un investimento strategico nell’infrastruttura digitale della PA, investimento che potrebbe attingere ai fondi messi a disposizione da Next Generation EU.
È stato particolarmente interessante lavorare sul pilastro della trasparenza, data l’importanza delle iniziative legislative già prese in tal senso e del dibattito specialistico e non sul tema. La trasparenza è il presupposto degli altri due pilastri, dato che senza di essa non sarebbe possibile per i cittadini partecipare fruttuosamente ai procedimenti dell’amministrazione. Abbiamo proposto un Registro unico della trasparenza sul modello del Green Book europeo e di quelli introdotti a livello nazionale dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero per lo Sviluppo economico. Un registro centralizzato e obbligatorio renderebbe più trasparente e facile il rapporto tra Amministrazione e privati, permettendo una maggiore sinergia ed evitando il rischio della cosiddetta “cattura del legislatore”: si garantirebbe a tutti i portatori di interessi una certa parità delle armi nell’interazione con il decisore.
Infine, abbiamo pensato di dedicare una parte del nostro report a delineare un’applicazione dell’open government a un soggetto diverso da un’amministrazione pubblica, ossia Cassa Depositi e Prestiti. CDP è tornata recentemente sotto i riflettori, dato il suo ruolo strategico di “braccio” dello Stato nell’economia, ruolo accentuato dalla situazione di difficoltà economica che il Paese sta attraversando a causa della pandemia. A tale crescente protagonismo si accompagnano rinnovate sfide per CDP, sfide che potrebbero essere affrontate in chiave di open corporate governance. Gli atti di indirizzo che il MEF dà a CDP potrebbero essere resi accessibili ai cittadini e dovrebbero essere definiti coinvolgendo le forze parlamentari e i portatori di interessi.
Tirando le fila del nostro lavoro, ci siamo resi conto delle complessità che il legislatore deve affrontare quando vuole perseguire fini di open government. L’Amministrazione è per sua natura eterogenea per quanto riguarda soggetti, prassi e obiettivi. Il nostro report ha provato ad affrontare tale eterogeneità proponendo soluzioni e fronti di intervento differenti. Tale lettura forse è frutto anche dei diversi punti di vista che sono confluiti nel nostro lavoro, d’altronde il nostro gruppo di lavoro era composto da persone con background differenti. Speriamo di essere stati all’altezza di un argomento così importante, fateci sapere i vostri feedback!
Per leggere il testo integrale e la presentazione della proposta cliccare su reporte sulla presentazione
di Alessandra Ausanio, Alberto Moro, Benedetta Lana, Federica Nava, Giacomo Centanaro, Lodovica Regina, Pierfrancesco Mattiolo, Tommaso Furio Clerici
Supervisoror: prof. Pier Luigi Petrillo