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Max Weber, politiche e politica

Cento anni fa, il 14 giugno 1920, morì Max Weber. In questi giorni il filosofo e sociologo tedesco viene ricordato tra le celebrità morte per la pandemia della sua epoca. Con ogni probabilità, la polmonite che uccise Weber fu legata all’influenza spagnola. Non so se Weber avrebbe sorriso, vedendosi affiancato a Gustav Klimt e al nonno di Donald Trump negli articoli su “cosa possiamo imparare dalla pandemia di un secolo fa”. O se avrebbe preferito essere ricordato come morto per disperazione, consumato dall’“impazienza della giustizia”: così piaceva raccontarla a Carl Schmitt.

Viviamo, comunque, ancora in un secolo weberiano. Come scrive Massimo Cacciari nel suo ultimo libro, “Il lavoro dello spirito”, la tragica lucidità di Weber continua a parlarci: “Se l’esposizione del passato costringe sempre a parlare di noi, come diceva Benjamin, mai questo è più vero che nel caso dell’opera di Max Weber”.

Tra le tante ragioni con cui l’opera di Weber ci parla, ne scelgo tre, senz’altro utili per il progetto della Scuola di Politiche.

Primo: il pensiero globale. Weber, con le sue comparazioni sulla religione e sull’economia, con la sua domanda sulle ragioni del “primato” dell’Occidente e sul suo destino, ha cercato e praticato una vera formazione globale, curiosa delle prospettive delle diverse civiltà. Coi mezzi e con i limiti della sua epoca, Weber ha tracciato questo percorso.

Secondo: la burocrazia. Weber è un grande, impareggiabile studioso dell’epoca burocratica, delle sue strutture, della sua razionalità, delle sue tecniche. Secondo questo senso ampio di burocrazia (che ritorna anche nel mio libro “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina”, debitore di una categoria di Weber), non possiamo parlare di organizzazione né di “politiche” senza confrontarci con Weber, con le sue lezioni di metodo, con le sue intuizioni. Weber, quindi, ci insegna a pensare le politiche.

Terzo punto: la politica. Il freddo analista dei sistemi e delle tecniche non rifiuta certo la passione politica, la questione politica. Anche la sua prosa gronda di passione. Ancora oggi, le sue pagine sulla relazione tra democrazia, Stato e partiti sono imprescindibili. Ma lo è soprattutto quella tensione che colpisce al cuore chi pensa di studiare o fare politica, chi oscilla la felicità privata e la felicità pubblica. Una tensione che si esprime, in modo indimenticabile per ogni lettore, nelle ultime pagine della lezione agli studenti di Monaco di Baviera del 28 gennaio 1919, poi rivista e pubblicata col titolo “Politik als Beruf”. Sembra che dopo la conclusione di quella lezione si continuò a dibattere fino alle due di notte.

Così continuiamo a dibattere, a pensare con Weber, cento anni dopo.

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