Da qualche settimana mi sveglio molto più tardi del solito.
Tra le nove e mezza e le dieci. Mi alzo stravolto da notti con più sogni.
Accendo il telefono, come prima cosa – e forse è una ‘prima cosa’ sbagliata; inizio a leggere i messaggi ricevuti nelle primissime ore del mattino.
Guardo le telefonate che ho perso, spesso da numeri che non conosco.
Sono decine di persone di Guidonia Montecelio, una Città popolosa fondata da Mussolini negli anni Trenta del ‘900, di cui sono consigliere comunale occupandomi principalmente di scuola e servizi sociali.
Una città grossa e disomogenea che spinge, sempre di più, verso Roma. Sospesa tra le ritualità povere dell’agro romano, l’urbanizzazione selvaggia e il senso di dispersione proprio del quartiere dormitorio. Quelle zone ombrate da dove si va via incolonnati nel traffico la mattina e si torna incolonnati nel traffico la sera, soltanto per dormire.
Ci sono pochi marciapiedi nei quartieri disarticolati di Guidonia Montecelio, non è stato previsto che i residenti dovessero passeggiare.
I quartieri hanno nomi idilliaci, da luoghi del Monopoly o come città fantastiche dei Pokemòn: Collefiorito, Setteville, Colleverde, Villanova.
Quartieri variegati dal punto di vista antropologico e della disposizione degli spazi urbani: borgate, spesso sorte dall’abusivismo edilizio, frazioni agresti oppure borghi medievali fatti di abiti tradizionali e storie leggendarie da raccontare.
La quarantena di Guidonia Montecelio è fatta di tante persone che non sanno a chi rivolgersi e a cui mancano i soldi per fare la spesa.
Di gente sorpresa a scappare dal supermercato con una confezione di tagliolini freschi nella giacca, maldestri come quelli che non lo hanno fatto mai.
Di tante persone che cantano dalla finestra per allontanare il terrore.
E pure io mi sento proprio così. I messaggi dei miei concittadini, circa centomila tra residenti registrati e residenti-fantasma in larga parte lavoratori del C.A.R. (Centro Agroalimentare Romano, i nuovi mercati generali della Capitale), sono composte richieste di aiuto.
Nello specifico, richieste di aiuto a una forma-sformata istituzionale di prossimità, quella degli amministratori locali. Un’istituzione con la quale si sviluppa una sorta di rapporto amicale, senza sacralità. Un’istituzione che diventa ricettacolo degli sfoghi – e ne sono contento – altre volte pallida speranza di stare meglio con i mezzi leciti dell’ascolto e della proposta politica, e con i mezzi illeciti della raccomandazione, come evidenziato dall’inchiesta sulla ‘mafia bianca’ guidoniana del 2017 che ha portato all’arresto di quindici persone tra politici locali e dirigenti del Comune[1].
Inizio a rispondere ai messaggi su WhatsApp, su Facebook e a ricontattare i numeri che mi hanno cercato. Parlo con moltissime persone, a cui non chiedo neanche i nomi. I primi minuti della telefonata sono un resoconto delle cose che non vanno bene.
Chi lavorava in nero, per colpa di chi governa una certa dimensione dello status lavorativo, e non sa che fare.
Poi, ci sono gli anziani che mi segnalano altri anziani che stanno male, terrorizzati da Barbara D’Urso che impone loro di non uscire di casa. Le mamme, perché nei pacchi alimentari che stiamo distribuendo non c’è mai la carne. E i ragazzini devono mangiarla, la carne.
Mi metto lì a sentire cosa non va bene nelle quarantene degli altri, capisco quasi tutti i problemi, che sono gli stessi problemi miei.
Le mie stesse identiche ansie.
Poi tocca a me.
Inizio a dare una sfilza di informazioni, sforzandomi di mischiare il linguaggio della burocrazia, la retorica politica e le frasi che ti deve dire una persona che, comunque, ti vuole bene.
Spiego a questi, tanti, come un Comune disgraziato, che si sforza di vestirsi da apparato almeno un po’ autorevole, sta gestendo i dispositivi dell’emergenza all’interno di una emergenza, ormai normalizzata e- colpevolmente- offuscata dalla vulgata: l’inerzia dei dipendenti comunali scansafatiche, che affligge migliaia di amministrazioni locali in tutta Italia.
L’insufficiente numero del personale e i soldi che dobbiamo dare ogni anno allo Stato per uscire dalle situazioni di predissesto. In buona sostanza, ogni anno circa 3 milioni di euro delle risorse della Città sono utilizzate per ripagare un prestito, erogato dallo Stato e da ripianare in dieci anni, che serve, a sua volta, per saldare debiti di venti o trenta anni fa, quando amministrazione e politica, specialmente nelle province, rappresentavano un indistinto amalgama di rapporti tentacolari con l’imprenditoria autoctona[2].
Guidonia Montecelio ha circa un terzo dei dipendenti comunali che dovrebbe avere a disposizione secondo gli indici nazionali riferiti al numero di abitanti[3]. Una constatazione desolante che significa meno servizi o, quando va bene, servizi più lenti.
Anche oggi, mentre i servizi sociali lavorano, chi da casa e chi in ufficio, per rispondere all’emergenza di chi non sa come mangiare.
Circa quindici persone, cooptate anche da altri settori che al momento sono bloccati, si danno da fare dalla mattina alla sera per rispondere al telefono ed erogare i ‘buoni spesa’ a chi ne ha fatto richiesta. I buoni spesa sono soldi a pioggia arrivati a tutti i Comuni d’Italia per supportare le fasce di popolazione più fragili.
A Guidonia Montecelio è arrivato circa un milione di euro, un po’ da parte del Governo centrale, un po’ dalla Regione Lazio. ‘Stiamo lavorando, gli uffici hanno lavorato anche a Pasqua e Pasquetta’ – dico al telefono – ‘ se ne avete bisogno, grazie alla Croce Rossa e alle associazioni, stiamo distribuendo dei pacchi con alcuni generi alimentari’.
Abbiamo comprato 30.000 euro di generi alimentari con soldi trovati funambolicamente nelle pieghe del gracile bilancio dell’ente.
Dico così.
E penso anche che i soldi che sono arrivati, o che abbiamo anticipato, sono erogati con un criterio e basta: il numero degli abitanti di ciascun comune, o di ciascun municipio.
Una metodologia distributiva che fa scomparire le connotazioni sociali e reddituali dei territori. Che mette da parte il problema del gioco d’azzardo che, in queste zone, stritola migliaia di famiglie e per il quale- considerando solo i circuiti legali- ogni cittadino di Guidonia, nel 2016, ha speso in media 779 euro e 80 centesimi; per un giro complessivo annuale di circa 70 milioni di euro, quasi quanto l’intero bilancio dell’Ente[4].
Una metodologia distributiva paradossale: perché il Comune di Guidonia Montecelio ha diritto a molti meno fondi per i ‘buoni spesa’ di quanti ne sono arrivati al II Municipio di Roma (Parioli, Trieste-Salario, ecc.), dove il reddito pro-capite è circa tre volte superiore. Io vado in farmacia, con la costosissima mascherina che mi copre un po’ la faccia, e incontro le persone. Ci parlo da due metri di distanza, non si capiscono tutte le parole, c’è il filtro comunicazionale del virus. Ma dico loro che ci siamo, che è un disastro ma ci siamo.
E che non siamo tutti sulla stessa barca. Non è una questione di ‘classe’, neanche un revanscismo piagnone. Credo sia un problema, prima di tutto, logistico. Di fare meglio dove si sta peggio.
Rispondo ai messaggi sul telefono e dico che siamo fortunati. Che l’associazionismo mi ha fatto conoscere tante persone, un sacco forti e un sacco per bene e che si ‘sbattono’ gratuitamente. Che nessuno rimane indietro- o meglio- che qua dietro siamo in parecchi e proviamo a uscirne insieme.Come istituzione che si è fusa, per necessità e senza intento teoretico-politologico, con il sociale, con i cittadini che si mettono al servizio l’uno dell’altro.
La sera tardi conto le telefonate e le sigarette.Le telefonate sono un sacco di più, le sigarette di meno, come per inconscia risposta resistenziale alla paura, altrettanto inconscia, del virus.
Dovevamo uscire dall’emergenza, prima di uscire dall’emergenza. Non ne siamo stati capaci e, poi, neanche ce lo hanno permesso. L’emergenza delle amministrazioni locali strozzate dai pareggi di bilancio e che danno servizi, in base ai principi della sussidiarietà, a tante persone con poche persone, stanche e di volontà altissima.
Uscire dall’emergenza; dopo essere usciti dall’emergenza di dare a tutti i pranzi e le cene, di bloccare gli sfratti, evitare che chiudano le attività commerciali accerchiate dalla grande distribuzione, di fare un po’ meno precario il futuro precario.
di Matteo Castorino
[1]https://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/guidonia_corruzione_peculato_15_arresti_dirigenti_comunali_imprenditori-2391296.html# [2]https://www.dentromagazine.com/2016/09/15/guidonia-17-milioni-debiti-20-tasse-non-pagate-commissario-sforzo-mostruoso-chiudere-bilancio/ [3]https://www.dentromagazine.com/2016/09/15/guidonia-17-milioni-debiti-20-tasse-non-pagate-commissario-sforzo-mostruoso-chiudere-bilancio/
[4]http://www.hinterlandweb.it/wordpress/2017/12/videogiochi-da-record-a-monterotondo-1-249-euro-il-doppio-di-tivoli-a-guidonia-montecelio-il-primato-del-totale-70-milioni-in-un-anno-su-incassi-ed-evasione-lattenzione-e-linteresse-della-crimi/