È ormai estate inoltrata quando riceviamo la prima mail di conferma dell’apertura dei lavori del team che si focalizzerà su Sostenibilità e Ambiente nelle politiche urbane. Il nostro gruppo, che purtroppo ha avuto il piacere di riunirsi solo virtualmente, è supervisionato dal Professore Toni Federico (Presidente del Comitato Scientifico presso la Fondazione Sviluppo Sostenibile) ed è composto da studentesse e giovani lavoratrici dalla formazione molto variegata con un comune interesse per lo sviluppo sostenibile e per l’ambiente.
Ad eccezione di indicazioni tecniche di layout e lunghezza dell’elaborato, il nostro gruppo ha avuto carta bianca per quanto riguarda la scelta delle tematiche del lavoro e, considerando le molteplici diramazioni che avremmo potuto intraprendere, dovute sia alla vastità dell’argomento ma anche al fatto che al momento nel nostro Paese queste tematiche ricoprono ancora un ruolo marginale, la parte che ci ha viste più combattute è stata individuare una tematica sulla quale focalizzare i nostri sforzi.
Secondo l’Istat, le città rappresentano una delle sfide planetarie per il XXI secolo: le opportunità e le criticità che si delineano nei contesti urbani, dove progressivamente si concentra la popolazione (oltre la metà di quella mondiale già dal 2007), richiamano con urgenza la necessità di strategie di governance mirate. L’Italia, già nel “Rapporto Barca” del 2009, ha considerato la necessità di sviluppare politiche integrate per le aree urbane e recentemente nel Rapporto nazionale per l’iniziativa Habitat III on Housing and Sustainable urban development, ha proposto una riflessione sui processi economici e sociali in atto nelle nostre città.
La situazione urbana italiana – tra città, sistemi locali e piccoli paesi – è incredibilmente multiforme ed estremamente complessa ed è forse anche una delle principali ragioni per cui, ad oggi, non è ancora presente un’Agenda urbana nazionale. Per questo motivo, l’obiettivo del nostro gruppo di lavoro è stato quello di scegliere un tema che fosse il più possibile implementabile su larga scala e non un mero lavoro teorico. Complice forse anche la stagione estiva e le inevitabili gite in spiaggia agostane, ci siamo quindi rese conto di un problema sempre più allarmante che purtroppo accomuna qualsiasi agglomerato urbano della nostra penisola (e non): la presenza di rifiuti plastici nell’ambiente. Da qui nasce l’idea di sviluppare una proposta che analizza l’uso degli imballaggi in plastica nel settore alimentare e nella piccola e grande distribuzione alimentare.
Siamo quindi partite da questo punto ed abbiamo cercato di ricostruire l’attuale situazione della filiera alimentare italiana ed europea ed il ciclo di vita della plastica. Dopo questo primo momento di desk research, ci siamo però poste alcune domande relative a quali fossero le soluzioni di policy più efficaci in questo tipo di settore per ridurre, in primis, il suo utilizzo come imballaggio.
Indubbiamente la plastica rappresenta un materiale che ha cambiato la nostra società. Sempre più settori ricorrono al suo impiego, viste e considerate le caratteristiche uniche del materiale: versatilità, leggerezza, capacità di preservarsi nel tempo e prezzo irrisorio sono solo alcuni esempi.
Tuttavia, ormai, conosciamo tutti quali siano le conseguenze di un utilizzo poco oculato della plastica. Il degrado ambientale e l’inquinamento terrestre e marino per esempio, sono derivati dal non corretto smaltimento dei rifiuti e una parte dalle emissioni di gas serra prodotte dall’incenerimento di rifiuti plastici.
La necessità di agire all’interno della filiera alimentare deriva dal fatto che in Italia l’uso della plastica è destinata per l’80% a questo settore e, dato ancora più allarmante, la vita media di tale materiale in questo comparto è inferiore ad un anno. Inoltre, nel passaggio attraverso le lunghe filiere produttive, il prodotto viene più volte re-imballato fino all’intermediario finale (supermercato) che molto spesso effettuerà un’ulteriore modifica nel packaging (cosiddetto overpackaging).
Una delle possibili soluzioni fin d’ora individuate per la sostituzione della plastica è la bio-plastica, ovvero un composto, il più delle volte organico, che ha la caratteristica di essere biodegradabile e compostabile. Tuttavia, ci siamo trovate di comune accordo sul fatto che questa tipologia di materiale non rappresenta una soluzione definitiva e risolutiva. Il problema più impellente infatti, non è circoscritto al trovare un sostituto di tale polimero, ma, piuttosto, è legato alla necessità di ridurre le quantità di plastica utilizzate – in primis di quella monouso – e, in generale, di cambiare le nostre abitudini di consumo.
Attuare questo cambiamento non è di facile realizzazione e richiede sforzi congiunti tra autorità locali, nazionali e catene di distribuzione alimentare.
Per quanto riguarda queste ultime, una delle prime azioni che troviamo facilmente implementabile su tutto il territorio nazionale è la possibilità di utilizzare in maniera estensiva contenitori individuali riutilizzabili per l’acquisto di prodotti alimentari sfusi. Questa azione dovrebbe essere affiancata da un’ingente installazione di eco-compattatori, specialmente in aree commerciali strategiche, con l’obiettivo di incentivare la raccolta della plastica.
Dal lato degli enti locali invece, abbiamo pensato all’organizzazione di gare tra comuni che coinvolgano direttamente i cittadini con l’obiettivo di attuare comportamenti sostenibili, come per esempio la consegna di sacchetti di plastica non biodegradabile/compostabile, con la finalità di far vincere alla propria comunità premi in grado di incidere sul benessere sociale e la qualità della vita. Inoltre, i comuni potrebbero destinare risorse alla realizzazione di “kit” per la spesa sostenibile e consegnarli gratuitamente ai propri residenti favorendo consumi maggiormente responsabili.
Insieme alle possibili soluzioni individuate in precedenza, pensiamo che per disincentivare il consumatore e il retailer finale (supermercati e simili) a prediligere cibi con elevati livelli di imballaggio plastico non bio-degradabile, sarebbe utile introdurre una tassazione per intermediario, dove più livelli di intermediazione significano un prodotto finito più caro. Questa soluzione, inoltre, permetterebbe di avere anche una filiera chiara con attori ben identificabili.
Inoltre, a livello nazionale, sarebbe auspicabile l’introduzione di un divieto di overpackaging con materiali plastici non biodegradabili per i retailer finali, al fine di ridurre questa tendenza e penalizzare lo smaltimento non sostenibile dei rifiuti.
Queste sono soltanto alcune delle misure che possono essere adottate dalle catene alimentari, dagli enti pubblici, dallo Stato e dai cittadini per trasformare la società nella quale viviamo in una vera e propria Comunità: un gruppo di individui mossi da responsabilità civica che aderiscono pienamente ai principi di sostenibilità sociale, economica e ambientale.
Per leggere il testo integrale e la presentazione della proposta cliccare su report e sulla presentazione
di Giulia Barnaba, Serena Cariati, Silvia Costantino, Martina di Gallo, Renata Giordano