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Il ponte del riscatto

Lunedì 3 agosto 2020 tutti i riflettori erano puntati sull’inaugurazione del Viadotto Genova San Giorgio, una data storica nella quale non sono state solo ricongiunte le due dorsali della Val Polcevera ma è avvenuto un grande momento di riscatto collettivo per il futuro dell’Italia, così come non se ne vedevano da anni, e, al di là del legittimo dibattito sull’efficacia o meno del cosiddetto “Modello Genova” o sul mancato concorso di progettazione, stavolta ha vinto la solidarietà di un grande Paese che unisce le forze per risollevarsi. Questo è ciò che è avvenuto.

Questa infrastruttura rappresenta qualcosa che va ben oltre la propria funzione e forma, oltre l’ingegno di chi l’ha pensata e realizzata, perché rappresenta l’identità di un Paese che, tra molte difficoltà, vuole ripartire. E allora l’entusiasmo prevale sulla struggente disperazione che ha avvolto tutti noi. I sentimenti che dipingono la varietà delle nostre regioni, ci uniscono oggi dinnanzi al riscatto di Genova perché come ha detto Renzo Piano: «Le tragedie restano imprigionate nelle nostre coscienze, diventano l’essenza stessa di quello che noi saremo».

Nei pochi minuti del suo discorso, l’Architetto Senatore è riuscito infatti a catturare la potenza di quest’opera nel solco di un’impresa per il futuro del Paese, «un grande vascello bianco» che salpa per l’orizzonte del progresso italiano con una forza straordinaria che è «semplice e forte come Genova».
In altre parole, questa è un’opera in grado di disegnare un immaginario collettivo che travalica l’icona architettonica composta dagli enormi piloni curvi e dalla carena della nave-ponte che specchia la luce del Mediterraneo sui pendii del Polcevera: è un ponte che rappresenta il simbolo di uno scatto in avanti per Genova, per un’Italia che, ancora una volta, è riuscita a librarsi nel cielo costruendo un «ponte in acciaio ma forgiato nel vento», come l’ha definito Piano.

L’erede del Ponte Morandi è costituito da un grande scafo misto in acciaio-calcestruzzo lungo 1067 metri e sorretto da 18 pile a sezione ellittica rastremata e sagoma costante in calcestruzzo armato, il cui spessore, pur risultando a tratti invadente, quasi una muraglia di pile se visto di scorcio, dà grande stabilità alla struttura vincolandola al terreno.
Il pezzo forte del complesso architettonico è tuttavia la carenatura su cui poggia l’impalcato che ricorda la figura di una chiglia articolata in conci d’acciaio distanziati da separatori, pensati dal team Salini Impregilo per prevedere dilatazioni termiche o scosse.
Tale carenatura è coronata da grigliature orizzontali che sorreggono i camminamenti laterali e da 18 antenne di 28 metri ciascuna irradianti fasci luminosi triangolari, così da ricordare le barche a vela.

Sul piano formale, sebbene il Viadotto San Giorgio non sia poi così diverso da altri esempi geograficamente vicini come il Viadotto Millau di Norman Foster o il Viadotto Gorsexio di Silvano Zorzi, la peculiarità di quest’opera sta tutta nel riuscire a esercitare un contrasto pesante/leggero, che è dato dal contesto unico del paesaggio urbano genovese integrato alla natura del mare e delle montagne. D’altronde l’intuizione di costruire una struttura nella Val Polcevera che si innestasse in questo binomio l’aveva già avuta Riccardo Morandi il cui progetto, tuttavia, sottovalutava diversi fattori tecnici e ambientali, mentre forse il segreto del progetto di Piano sta proprio nel cogliere entrambi gli elementi di questo luogo speciale: l’esperienza sensoriale di un portale posto tra terra e acqua e l’adattamento alle sollecitazioni emanate dal contesto nell’ancoraggio solido delle pile alla valle.

Il progetto punta fondamentalmente proprio su un connubio tra mare, acciaio e calcestruzzo nella prospettiva di un’opera destinata a durare nel tempo grazie ad un monitoraggio costante che fa uso di dispositivi robot per la manutenzione necessaria, vista l’altezza soprattutto delle antenne sottoposte alla continua sollecitazione del vento. Tuttavia, al di là delle tecnicalità e del disegno architettonico dell’infrastruttura, che sin da subito aveva diviso l’opinione pubblica tra il viadotto presentato da Renzo Piano con Salini Impregilo e il ponte strallato di Santiago Calatrava con il gruppo internazionale Cimolai, è evidente che questo progetto entra in una vicenda collettiva più grande, in quanto rappresenta a tutti gli effetti il landmark di un momento storico.

L’ “Italia che riparte” prende forma nella struttura di questo viadotto, un vascello che vuole rappresentare un Paese dinamico forgiato dalla sua lunga storia, semplice ma raffinato, agile e possente, e speriamo che tutte queste virtù ci consentano trovare il nostro posto nel nuovo mondo globalizzato.

 

di Alberto Bortolotti

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