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Il dialogo tra politica e amministrazione nel linguaggio della performance

La nostra analisi muove dalla constatazione dell’esistenza di un disallineamento tra i due principali livelli dell’amministrazione pubblica statale, ovvero tra l’organo di indirizzo politico ministeriale e la dirigenza amministrativa di prima fascia, cui consegue la difficoltà di portare a realizzazione concreta le direttive promananti dai vertici della p.a.

Su tale premessa, la nostra ricerca intende investigare metodi e strumenti utili a eliminare, o perlomeno a ridurre, gli attriti istituzionali di cui spesso i predetti livelli si rendono protagonisti, così da implementare una più efficace attuazione amministrativa dell’indirizzo politico.
In tale percorso, ci siamo concentrati sull’azione dei dicasteri ministeriali, con particolare riguardo ai Dirigenti di Area 1, perché considerata la particolare prossimità operativa di questa fascia dirigenziale agli indirizzi degli organi politici.

Le possibili antinomie tra politica e amministrazione trovano così un luogo logico di possibile risoluzione negli strumenti di valutazione della performance amministrativa, ossia nella congerie di controlli cui sono sottoposte le varie amministrazioni nel perseguimento degli obiettivi loro affidati. Su questa base, analizzeremo il Sistema di Misurazione e Valutazione della Performance (SMVP), che rappresenta a tutti gli effetti, a nostro parere, una vera e propria cinghia di trasmissione tra politica e amministrazione, e nell’elaborazione del nostro progetto abbiamo provato a ricondurre il rapporto tra decisori politici e dirigenti amministrativi nei binari del performance management, utilizzando tale strumento come un diapason per sintonizzare le priorità dei due livelli istituzionali. Abbiamo deciso di indagare il criterio di valutazione della performance in una prospettiva comparata, focalizzandoci in particolare sull’analisi dei sistemi vigenti nel Regno Unito e in Francia. La scelta di questi casi di studio è avvenuta sia per la prossimità culturale al mondo della burocrazia italiana, che per la particolare attenzione conferita all’efficienza della p.a., Il nostro obiettivo è quello di comprendere meglio le problematiche “domestiche” del sistema italiano e le sue possibili soluzioni. Perché abbiamo pensato ad un approccio comparato per ricercare tali soluzioni? La ragione della comparazione risiede nella ferma convinzione che l’allineamento strategico delle amministrazioni europee, attuato in questa sede tramite la predetta selezione e l’esame di organizzazioni burocratiche non-autoctone e dalla comprovata efficacia, possa giovare anche al processo di integrazione europea, anche sotto il profilo amministrativo.

L’esito dell’indagine ci ha condotti a proporre, tra l’altro, l’istituzione di un meccanismo per “valutare la valutazione”, sulla falsariga di quanto accade nel Regno Unito attraverso il National Audit Office, dando rilevanza anche ai giudizi degli stakeholder, ovvero similmente all’assetto francese in cui si verifica la discussione dei PAP e dei RAP (piani e rapporti sulla performance amministrativa) in sede di dibattito parlamentare sul rendiconto generale dello Stato.

Il file rouge del nostro ragionamento è stato quello di immaginare un sistema in cui l’azione e i risultati conseguiti dalla p.a. divengano parte non solo del dibattito politico, ma anche dell’agenda politica, così da accorciare la distanza tra il cittadino e la pubblica amministrazione, in una prospettiva di governance amministrativa condivisa e partecipata.

Così come la domanda “chi valuta la valutazione?” scopre dei vulnus su potenziali conflitti di interesse interni alla P.A., l’altra domanda che ci dobbiamo porre è relativa agli stessi strumenti necessari per finalizzare il processo. Cosa può garantire la correttezza oggettiva dei parametri e l’appropriatezza degli scopi dell’amministrazione? In che modo si può confutare l’obiezione di target al ribasso con il solo scopo di mantenere alta la performance e nascondere i bassi rendimenti? Le soluzioni sono molteplici, ma la bussola sembra puntare verso una sola direzione: aprire la performance nel pubblico impiego a più occhi e più voci, eliminando le asimmetrie informative in modo da favorire un confronto democratico tra le istituzioni.

Ecco le nostre proposte riassunte:

  1. Parlamentarizzare l’esito del processo di valutazione attraverso la revisione di un organo tecnico, possibilmente individuabile come una Sezione di controllo della Corte dei Conti, che discute redige una relazione sull’esito delle performance della P.A., la quale potrà essere successivamente presentata e discussa in Parlamento dal ministro competente. L’idea è quella di creare un meccanismo per “valutare la valutazione”, come succede nel Regno Unito attraverso il National Audit Office, dando rilevanza anche ai giudizi degli stakeholders, sulla falsariga di quanto accade anche in Francia con la discussione dei PAP e dei RAp in sede di dibattito parlamentare sulla legge consuntiva di bilancio. In questo modo, la P.A. diverrebbe parte non solo del dibattito politico, ma anche dell’agenda politica stessa, e si accorcerebbe la distanza tra il cittadino e la pubblica amministrazione, che oggi è notevole. Molto pochi sono, infatti, i cittadini italiani che sanno come funziona la P.A. e l’importante ruolo che svolge, ma se l’attività della P.A. diventasse quasi-centrale nel dibattito parlamentare, i cittadini sarebbero più informati e interessati a questo tema, e i partiti politici di conseguenza dovrebbero diventare più sensibili a rappresentare gli elettori anche in questi termini; conseguentemente si avrebbe un meccanismo di accountability anche per gli organi di vertici dell’indirizzo politico che dovrebbero rendere conto in Parlamento della performance della propria amministrazione.
  2. Generalizzare i form della valutazione attraverso un controllo ex post del dipartimento della funzione pubblica sulla congruità dei parametri, che raccoglie tutti i moduli (moduli dei parametri non dei risultati, al fine di uniformare, pur senza standardizzare, tali parametri) dei vari OIV ministeriali.
  3. Creare Un Ruolo Dirigenziale Unico che permetta lo scambio di dirigenti tra amministrazioni statali in base alle necessità delle stesse. In caso di posto dirigenziale vacante, per esempio, un certo dipartimento dovrebbe essere libero di attingere in ambito nazionale per la ricerca del soggetto che possa contribuire al proprio bisogno, invece di doverlo cercare per forza al suo interno e finire magari per scegliere un dirigente meno specializzato in materia. (possibili effetti virtuosi anche sui meccanismi di resp. dirigenziale – art. 21 d.lgs. 165/2001).
  4. Revisione meccanismi premiali (percentuali distribuzione forzata, categoria premiale) e punitivi secondo nuovi parametri elaborabili tramite software/dati statistici.
  5. Revisione degli indicatori di raggiungimento delle azioni, che sono potenzialmente troppo vaghi e ampi. Questi potrebbero infatti essere elaborati in sede di confronto tra l’organo politico e l’OIV, collegandoli ad aspetti già oggetto di autonomo monitoraggio da parte di Agenzie e organismi indipendenti o interni alle singole P.A. (es. le ARPA per la tutela ambientale), ricollegandosi quindi a strumenti già in atto ai vari livelli istituzionali, senza aggravare il peso burocratico della valutazione.

Per leggere il testo integrale e la presentazione della proposta cliccare su report e su presentazione

Di Costanza Agnello, Camilla Battisti, Martina Bernardini, Luca Costanzo, Carlo Garrone, Michelangelo Morelli, Pasquale Rossi

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