Il primo weekend di lezioni del Corso Impact Calabria è stato all’insegna di un tema tanto ambizioso quanto attuale: “Democrazia e tecnocrazia. Quali sfide?”. Di fronte all’avanzare di un vasto fenomeno di riduzione della politicità del nucleo centrale della classe politica (Capano, Piattoni, Raniolo, Verzichelli 2021, cap. 3), la tecnocrazia pare rispondere alle necessità di recupero della fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, sospinta da una legittimazione che proviene dalla competenza specifica dei suoi attori. Ma il cammino non è lineare: gli “specialisti” che si prestano alla politica non sempre sono in grado di sintetizzare le domande di interesse generale, abituati a operare all’interno del proprio sistema di competenze e delle proprie aree tematiche. La competenza, come spiega Spartaco Pupo (Università della Calabria) nella sua lezione “Tecnica e politica. Storia di un binomio difficile”, rischia di ridurre la complessità della politica a mera tecnica, incapace di affrontare le vere questioni politiche (Delsol 2003). Sullo sfondo si colloca la rivoluzione digitale che ha accelerato il processo di trasformazione dei termini in cui la democrazia deve operare (Runciman 2018). Tuttavia, all’interno del sistema politico, esistono più livelli di rintracciabilità delle competenze, che assumono un ruolo vero e proprio nel policy cycle, il ciclo produttivo delle politiche pubbliche (le cui fasi, brevemente, sono: agenda, formulazione, decisione, implementazione, valutazione). È il caso dei policy advisor, al centro della lezione di Maria Tullia Galanti (Università di Milano) “Policy advisor e ruolo della conoscenza”. Questi si inseriscono in più fasi del policy cycle e hanno una funzione cruciale poiché costituiscono il sistema di consulenza politica, vale a dire l’insieme di attori, con configurazioni uniche in ogni settore e giurisdizione, che forniscono informazioni, conoscenze e raccomandazioni di azione ai decisori politici. Possono appartenere all’arena governativa, o provenire dall’esterno, dal mondo accademico o da quello “laico” dei gruppi di interesse, delle associazioni di imprenditori o di cittadini, degli istituti di ricerca. Si tratta in ogni caso di figure chiave che entrano in relazione con il potere politico – una relazione di scambio tra domanda e offerta di advice dovuta sia al bisogno di ottenere informazioni per risolvere problemi complessi, sia al bisogno (reciproco) di aumentare la propria legittimazione. I policy advisor svolgono molti e diversi policy work, in cui l’advice è solo uno di quelli possibili; a loro volta acquistano il potere di orientare scelte e decisioni di interesse collettivo, assumendo una doppia funzione: cognitiva e operativa.
Un ruolo simile assumono i Gabinetti, all’interno della pubblica amministrazione e in relazione ai rapporti con la Dirigenza. È qui che risiedono infatti le competenze specifiche che spesso mancano da un lato ai livelli dirigenziali (a causa delle annose procedure di nomina e reclutamento mai radicalmente riformate) per elaborare obiettivi, valutare i costi e monitorare i rendimenti, dall’altro ai politici stessi all’interno dei ministeri, quando un nuovo governo deve formarsi. Così spiega Fabrizio di Mascio (Università di Torino) nella lezione “Nel cerchio magico. Gabinetti e Dirigenza”:
“I vecchi «gabinettisti» sono stati impiegati dai politici come una soluzione pronta all’uso per coordinare processi e organizzazioni che non conoscevano. Ciò ha prodotto un rafforzamento del ruolo dei gabinetti come meccanismo di coordinamento orizzontale delle politiche pubbliche. Magari i Gabinetti non rappresentano una sponda per la modernizzazione delle amministrazioni, ma costituiscono un argine contro le intemperanze del populismo”.
Populismo e tecnocrazia, che per Marco Valbruzzi (Università Federico II Napoli) rappresentano due sfide convergenti della rappresentanza democratica, come affronta nella sua lezione “I governi tecnici. Miti e realtà”. I due fenomeni, infatti, mostrano alcuni punti in comune, come la visione monistica del “bene comune”, l’organizzazione dei rapporti interni improntata alla disintermediazione (sul modello fiduciario per i tecnocrati, sul modello della delega per i populisti), la mancanza di sanzioni per chi sbaglia. I due estremi, inseriti nelle logiche elettorali e tantopiù nell’era della crisi perpetua, finiscono per alimentare lo stesso circolo vizioso: critica populista soluzione tecnocratica critica tecnocratica soluzione populista.
In ogni caso, si tratta di estremi che escludono la forma più pura dei governi di partito, l’unica a poter garantire la democrazia: “[…] un governo di non esperti su esperti o un governo pianificato da esperti senza democrazia. Se la democrazia deve sopravvivere, dovrà stare alla larga da entrambi” (Sartori 1987).