Sono trascorsi quasi tre anni dall’inizio della pandemia da Covid19. Dopo una fase acuta in cui ci siamo adattati a subire delle pesanti restrizioni alla libertà personale al fine di preservare la salute nostra e, soprattutto, quella delle persone più fragili, ha fatto seguito un lungo strascico di alti e bassi, che tuttora continua. L’impatto sulle nostre vite, soprattutto in termini di qualità delle relazioni sociali, possibilità di esperienze di crescita e prospettive professionali è stato pesante, specialmente per coloro i quali la pandemia ha significato non solo incertezza, ma anche ansia, peggioramento dello stato di salute e instabilità economica. È inoltre innegabile che la pandemia ci abbia costretto a vivere esperienze negative sul piano affettivo ed emozionale che vorremmo chiudere in un cassetto.
La tentazione di dimenticare, come se nulla fosse accaduto, è una reazione prevedibile e anche comprensibile, a maggior ragione alla luce dei nuovi e più recenti avvenimenti che calcano la scena internazionale. Al culmine della prima ondata, quando il nostro mondo era uno schermo e l’orizzonte i quattro muri di una stanza, due pensieri ci ronzavano in testa: il tentativo di esorcizzare l’angoscia nei confronti di un futuro ignoto convincendoci che tutto sarebbe andato per il meglio e che, se mai fossimo usciti da quella valle di lacrime, saremmo stati rigenerati dalla riscoperta di valori come la solidarietà, da troppo tempo abbandonati sulla strada verso il successo, sacrificati sull’altare del potere e della soddisfazione economica. Ciononostante, sono bastati pochi mesi e l’odore del mare per renderci insofferenti alle mascherine, sospettosi verso i vaccini e persino più egoisti di prima. Questa risposta di carattere personale si è ripercossa, come effetto di una spinta collettiva, sulle politiche delle aziende, dei singoli paesi, della comunità internazionale.
Tutto è stato predisposto affinché si potesse tornare in breve allo stato di pre-shock, elargendo finanziamenti economici senza precedenti nei paesi sviluppati, specialmente a favore dei comparti industriali e del commercio. Le bandiere della transizione ecologica e dello sviluppo tecnologico sono state issate a difesa e quali giustificazioni di molti di tali investimenti, spesso in modo improprio o del tutto ingiustificato. Sorprende, quindi, che, a fronte di quanto viene speso per interventi dall’ impatto squisitamente economico, poco o nulla sia stato pensato in favore della sicurezza sanitaria su larga scala e dei settori ad essa collegati. Eppure, abbiamo acquisito una vasta esperienza circa situazioni e avvenimenti in cui, a causa di piani scellerati, ci siamo trovati a dover far fronte a percorsi di ricostruzione. Ne sono esempi i nuovi quartieri in edilizia antisismica nelle cittadine colpite da eventi sismici e gli argini rafforzati dei torrenti esondati. Sarebbe stato dunque lecito aspettarsi che, anche se per anni i rischi sanitari sono stati trattati come marginali e relegati alle regioni svantaggiate, la rinnovata percezione del pericolo avrebbe ravvivato l’attenzione dei decisori politici su questo tema.
È davvero sorprendente e sconfortante constatare che, a fronte degli avvenimenti dell’ultimo triennio, dei costi sociali, psicologici e umani, l’attenzione della politica comunitaria sia monopolizzata, ancora una volta, dall’economia di rango, perdendo di vista che essa non è un asse portante della società, ma uno dei suoi più controversi prodotti. A nulla vale curare i frutti se la pianta è malata. Continuiamo a vivere nell’illusione che l’ultima pandemia sia stata una parentesi, una nuvola passeggera che abbia scaricato il suo temporale e che l’esperienza accumulata sia abbastanza per affrontarne un’altra. La realtà è ben più complicata, come ci ricordano numerosi allarmi recentemente lanciati da molti e prestigiosi congressi e centri di ricerca internazionali.
Il problema va oltre il Covid19 e anche al di là dei nostri microscopici sgraditi ospiti. L’evoluzione delle patologie trasmesse da batteri, funghi e virus dipendono da una perenne corsa verso adattamento dei microrganismi all’ospite e viceversa che risente di numerosi fattori: mobilità delle popolazioni, densità abitativa, igiene, risposta immunitaria, contagiosità, durata del periodo di trasmissione, incubazione e molti altri. Nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad un incremento pressoché esponenziale della popolazione mondiale, che oggi sfiora gli otto miliardi. Tale dato, unito a una crescente rapidità degli spostamenti, alla continua interazione fra Uomo e comunità animali e alla pressione selettiva prodotta dall’utilizzo massiccio di prodotti antibiotici, sta spostando il delicato equilibrio nella lotta fra noi e gli agenti patogeni a favore di questi ultimi. Non per altro, il Covid19 è stato solo l’ultimo di una lunga serie di virus che hanno fatto irruzione sulla scena internazionale. Non si tratta dunque di un caso isolato.
L’attenzione degli esperti è rivolta, da diverso tempo ormai, ai batteri e virus farmaco-resistenti, sempre più aggressivi e insidiosi, non solo per i malati ospedalieri e le persone più fragili. Sono state raccolte, infatti, una serie di evidenze che inducono la comunità scientifica a pensare che, nell’arco di pochi decenni, la farmacoresistenza potrebbe diventare la prima causa di morte nel mondo sviluppato. Pensare, dunque, di archiviare la pandemia da Covid19 senza predisporre un potenziamento dei sistemi sanitari e modificare alcuni comportamenti è, verosimilmente, una illusione che non possiamo permetterci di coltivare. Da un lato, infatti, è necessario ridurre l’impiego di antibiotici e altri prodotti aggressivi nella filiera alimentare e parallelamente accelerare la ricerca di nuovi farmaci, dall’altro è imperativo rivedere gli standard di sicurezza sanitaria. Non si tratta di un processo completamente nuovo: prima degli attentati dei primi anni del secolo, nessuno avrebbe mai pensato che, per prendere un aereo, sarebbe stato necessario effettuare tutti i controlli a cui ci sottoponiamo ogniqualvolta ci rechiamo in aeroporto. Inoltre, molti vaccini vengono già richiesti per spostarsi in paesi in cui alcune patologie sono endemiche. Ebbene, è probabilmente giunto il tempo di considerare che, se vogliamo continuare a tenere testa a virus e batteri, nuovi criteri e comportamenti devono essere via via adottati.
È inoltre cruciale che tali decisioni siano prese in concerto dall’intera comunità o almeno da una parte schiacciante di essa, per preservare non solo la nostra sicurezza sanitaria, ma anche la stabilità economica che ci è tanto cara. Il caso della Cina, a tal proposito, è paradigmatico: dopo aver applicato norme rigidissime per il contenimento della pandemia, scegliendo una strategia assai diversa da quella Occidentale, il Dragone si sta ora imbattendo in una recrudescenza che rischia di trascinare il paese in un lockdown a più riprese con conseguenze imprevedibili sugli scenari di ripresa economica a scala mondiale. La frammentazione in blocchi, con solchi sempre più profondi a marcare posizioni geopolitiche, rischia di compromettere anche la lotta alle future pandemie, che certamente si verificheranno. Allo stesso modo, una comunità internazionale che proceda in ordine sparso condannerebbe all’inefficacia qualunque misura volta ad arginare le difficoltà sempre più frequenti e pressanti a cui ci troviamo a far fronte.
La diseguale distribuzione delle risorse, la fragilità territoriale e fenomeni estremi, la vulnerabilità degli ecosistemi, la contaminazione degli ambienti ad opera di agenti inquinanti e la proliferazione di agenti patogeni sono il frutto di uno squilibrio sempre più grave prodotto da ciascuno di noi in diversa misura. Serve una azione corale, integrata e coerente che prenda in considerazione contemporaneamente tutti questi problemi ed inizi ad arginarli. Purtroppo, al momento, sulla scena internazionale altri temi tengono banco ed è improbabile che si riesca ad agire in modo incisivo in tempo utile prima che si verifichino delle emergenze. Tuttavia, non vi è modo di sfuggire alle nostre responsabilità ed è verosimile che sarà la nostra generazione a dover pagare il prezzo più alto per saldare il debito di chi ci ha preceduto e di noi stessi.
La grande transizione è ormai un imperativo e l’idea che tutto si possa affrontare con soluzioni di mercato, espansive, senza rinunciare essenzialmente a nulla è destinata ad infrangersi. Abbiamo di fronte un cambiamento forzato con vincoli ben precisi all’interno dei quali abbiamo però la possibilità di agire al fine di attenuare l’impatto laddove gli effetti si faranno sentire con maggiore violenza.